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Le prospettive processuali sul crocifisso in classe


Sulla questione può intervenire anche il giudice ordinario, dopo che l’art. 33 del d.lgs. 80/98, che devolveva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie concernenti i pubblici servizi, è stato dichiarato illegittimo.
Certo, si potrebbe ritenere che in concreto persista la giurisdizione amministrativa alla stregua dell’affermazione del Tar, secondo cui, trattandosi di un “arredo scolastico, i singoli hanno posizioni di interesse legittimo”.
Tuttavia, la Corte sembrerebbe escludere che da semplici norme regolamentari, prive di forza di legge, possa ricavarsi un obbligo.
Il Tar, invece, mantiene ferma l’interpretazione precedente: quelle norme “rendono obbligatoria l’esposizione del crocifisso”.
Sul punto, la posizione del Consiglio di Stato è sostanzialmente più radicale: il crocifisso esposto nelle aule scolastiche, dovendo considerarsi non “una suppellettile, oggetto di arredo”, bensì un simbolo, la cui esposizione, tuttavia, rientra nella “potestà regolamentare della pubblica amministrazione”, tipicamente discrezionale (sottolineatura, questa, dalla quale sembra dedursi che l’esposizione del crocifisso non sia obbligatoria e dalla quale, comunque, i giudici amministrativi hanno dedotto la persistenza della loro giurisdizione).
Questo giudizio, per vero, sembra revocabile in dubbio alla stregua della concorde richiesta delle parti di declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, che perciò non può escludere che sia fatta valere con regolamento di giurisdizione.
Comunque sia, la questione riguarda posizioni giuridiche soggettive costituzionalmente tutelate in via diretta e in questa prospettazione rientra a pieno titolo nella giurisdizione ordinaria.
Certo, la natura regolamentare delle norme impositive esclude una riproposizione della questione dinanzi alla Corte Costituzionale, pur se sotto il diverso profilo della violazione di diritti di libertà per effetto dell’esposizione di un simbolo religioso, ma consentirebbe l’esercizio del potere di disapplicazione delle stesse per manifesto contrasto con i diritti della coscienza e il principio supremo della laicità dello Stato.
Questo sindacato di costituzionalità “diffuso” tra i giudici non è il massimo, come è noto, sotto il profilo dell’eguaglianza dei cittadini (che verrebbe a dipendere dalla loro capacità, anche economica oltre che culturale, di iniziativa giudiziaria) e della stessa certezza del diritto.
Una delle ragioni del sindacato accentrato di costituzionalità risiede, invero, proprio nella possibilità di uniforme interpretazione della Costituzione, che invece nel caso verrebbe frustrata per effetto non solo dell’episodicità delle iniziative dei singoli genitori, ma anche della mancanza di efficacia erga omnes dei provvedimenti giurisdizionali.
Vero è, peraltro, che la funzione normofilattica della Cassazione, la quale probabilmente verrebbe adita con sollecitudine dalla prima parte perdente, ristabilirebbe tale certezza in un senso o nell’altro.
E nella sede della legittimità non potrebbe non giocare un ruolo determinante il ricordato precedente, finora rimosso dalla giustizia amministrativa, della Cassazione.

Tratto da EGUAGLIANZA E DIVERSITÀ CULTURALI E RELIGIOSE di Stefano Civitelli
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