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Libertà religiosa: Testimoni di Geova e Islam a confronto


Scientology dimostra che non appena una religione adotta un corpus di scritti del fondatore, i diritti degli appartenenti subiscono una compressione.
I diritti umani nella tradizione laica occidentale si sono affermati soprattutto come diritti di libertà.
Ma nella visione delle religioni del libro si situano prevalentemente dell’orizzonte della giustizia.
E di tale visione risentono anche le religioni di più recente formazione e in aperto contrasto con quelle storiche, come il movimento dei Testimoni di Geova.
L’esclusivismo del credo, infatti, dà loro la convinzione di “possedere veramente la verità” e di essere, quindi, l’unica religione “giusta”, sicché è bandita ogni forma di ecumenismo tanto a livello culturale quanto a livello organizzativo, perché le altre religioni sono semplicemente false e, anche quando adottano la Bibbia come verità rivelata, in realtà non la seguono o la contaminano con dottrine, come quella trinitaria, derivate da fonti pagane.
La purezza della dottrina non può che riposare sull’interpretazione letterale del libro sacro.
Di qui la prima conseguenza, comune a tutte le confessioni organizzate ma più incisiva per quelle c.d. fondamentalistiche, consistente nella menomazione della libertà religiosa all’interno della confessione: nel caso specifico, coltivare idee diverse sulla trinità o sugli ultimi giorni, sul divorzio o sulle emotrasfusioni, non è lecito all’interno della confessione ed è disciplinarmente perseguibile con una gamma di sanzioni, culminanti nell’espulsione.
Ma è compatibile questo esclusivismo almeno con il riconoscimento pieno della libertà di adesione e di recesso?
Non porta inevitabilmente all’intolleranza, a “far terra bruciata” intorno ai dissidenti?
Questa, invero, è una delle accuse mosse dai fuoriusciti.
Il procedimento disciplinare si svolge in via riservata: il che, se tutela la dignità della persona inquisita, non ne garantisce il pieno esercizio del diritto di difesa secondo gli standards secolari del “giusto processo”.
Il richiamo anche in questo caso alla prassi delle primitive comunità cristiane, come risultante da sporadici versetti biblici, non vale ad assicurare il diritto di difesa nella pienezza con cui esso oggi viene concepito del diritto statale.
Comunque, il contraddittorio, nucleo essenziale del diritto di difesa, è rispettato, con la previsione della possibilità di riesame da parte di un diverso comitato di persone qualificate, della ratifica della proposta di espulsione, formulata dal corpo degli anziani della congregazione locale, da parte del comitato direttivo e, quindi, dalla deliberazione dell’Assemblea.
Queste limitazioni al diritto di libertà appaiono giustificate nella misura in cui con l’adesione alla confessione il soggetto le prevede e le accetta previamente e sempre che esse non offendano la dignità della persona umana e i diritti fondamentali che la connotano.
Tale esattamente è la concezione dell’Islam, in cui la libertà religiosa è condizionata dall’ideale della giustizia, che è il corrispettivo dell’obbedienza dovuta dal musulmano non solo a Dio e al suo Profeta, ma anche a “coloro che hanno autorità su di te”.
L’apparato sanzionatorio di tali dissonanze è particolarmente grave, come s’è visto nel caso del pensatore sudanese Mahmud Muhammad Taha e in vari casi accaduti negli ultimi anni in Egitto, quando esse integrino, a giudizio dell’autorità, il delitto di apostasia.
L’apostata, avendo abbandonato la fede nell’Islam e quindi essendo un traditore, riceve un trattamento peggiore di quello dell’infedele: se catturato può solo chiedere il condono della pena attraverso la ritrattazione, altrimenti “deve perire di spada”.
Ciò significa che un musulmano non può esercitare il diritto, comunemente riconosciuto dalle costituzioni e convenzioni occidentali, di mutare religione.
La libertà di opinione riceve riconoscimento, ma solo se esercitata “in un modo che non sia in contrasto con i principi della sharī’a”.
La libertà religiosa e di mutamento o di abbandono della religione addirittura non trova riconoscimento perché “l’Islam è una religione intrinsecamente connaturata all’essere umano”, sicché “è proibito esercitare ogni forma di costrizione sull’uomo o sfruttare la sua povertà o ignoranza per convertirlo a un’altra religione o all’ateismo”.
Ciò che all’Islam ufficiale appare inaccettabile e degno di rifiuto è la concezione, sottesa ai diritti universali, secondo cui “quanto più un essere umano esercita i suoi diritti, tanto più diventa indipendente nei confronti della comunità”, mentre dall’Islam viene privilegiata proprio “l’appartenenza a una dimensione comunitaria” in base all’illazione che, se “i diritti dell’uomo trovano una controparte nei diritti di Dio”, questi sono “spesso rappresentati dai diritti della comunità”.

Tratto da EGUAGLIANZA E DIVERSITÀ CULTURALI E RELIGIOSE di Stefano Civitelli
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