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I codici specifici e non specifici del cinema

I codici specifici e non specifici del cinema



Le configurazioni significanti che possono intervenire soltanto nel cinema sono in realtà in numero alquanto limitato, e sono legate alla materia d’espressione propria del cinema, vale a dire all’immagine fotografica in movimento e a certe forme di strutturazione proprie del cinema, come il montaggio nel senso più stretto del termine. Un’opposizione netta tra codici specifici e codici non specifici è difficilmente sostenibile, e l’ipotesi centrata su gradi di specificità è molto più produttiva: vi sarebbero due poli, l’uno costituito da codici totalmente non specifici e l’altro da codici specifici, in numero molto più ridotto; è tra questi due poli una gerarchia di specificità fondata sulla più o meno ampia zona di estensione dei codici considerati. I codici fotografici legati all’incidenza angolare(inquadrature), il codice delle scale di piano, quello della nitidezza dell’immagine sono più specifici di quelli dell’analogia visuale, che riguardano tutti i linguaggi figurativi, e tutti i codici che riguardano la messa in sequenza dell’immagine sono ancora più nettamente specifici; i soli codici esclusivamente cinematografici sono legati al movimento dell’immagine: codici dei movimenti di macchina, codici dei raccordi dinamici. C’è comunque da notare che certi codici poco specifici sono però stati massicciamente sfruttati dal cinema, come ad esempio l’opposizione tra inquadratura piccola e inquadratura cabrata, spesso utilizzata per accentuare certi tratti dei personaggi rappresentati.
Un altro fenomeno sul quale è interessante insistere è quello delle conseguenze dell’integrazione di un codice non specifico in un linguaggio, e delle trasformazioni che ne subisce: il codice dei colori interviene in tutti i linguaggi in cui il significante è suscettibile di essere colorato, ma in un dato film questo codice viene subordinato alle caratteristiche degli spettri e dei valori della pellicola utilizzata; la voce di un personaggio di film non è all’inizio molto specifica(codice dei timbri di voce), poiché la si può allo stesso modo sentire in altri luoghi, e diventa totalmente specifica nella sua simultaneità con l’immagine in movimento. Ma un codice più specifico di un altro all’interno di un linguaggio non è perciò più importante di quello: esso caratterizza maggiormente questo linguaggio, ma può giocare un ruolo modesto; un film che contiene una gran quantità di movimenti di macchina, di raccordi ritmici, di sovrimpressioni, non è più cinematografico di un film composto di piani esclusivamente fissi in cui la narrazione è affidata ad un voce off: ciò che si può semplicemente constatare è che nel primo caso la materialità significante del cinema si mostra più apertamente.
Il linguaggio cinematografico può in qualche modo dire tutto, soprattutto quando fa appello alla parola; ma esistono anche linguaggi dedicati a zone semantiche molto più ristrette, come quello dei segnali marittimi, la cui funzione esclusiva è di dare delle indicazioni utili alla navigazione, da cui l’adattamento della sua materia dell’espressione a questa finalità. Al contrario, cherti linguaggi hanno, come nota Hjelmslev pensando soprattutto alla lingua, una materia del contenuto coestensiva alla totalità del tessuto semantico, all’universo sociale del senso: essi sono costituiti di codici a manifestazione universale; altri codici, come quello del ritmo, possono avere una specificità multipla, il che vuol dire che essi possono intervenire in tutti i linguaggi in cui la materia dell’espressione comprenda il tratto pertinente che corrisponde loro. Il film è dunque l’incontro tra un gran numero di codici non-specifici e un numero assai più ridotto di codici specifici.

Tratto da ESTETICA DEL FILM di Nicola Giuseppe Scelsi
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