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L'espressione del linguaggio cinematografico

L'espressione del linguaggio cinematografico



La nozione di materia dell’espressione come la definisce Hjelmslev ci permetterà di precisare il carattere composito del linguaggio cinematografico dal punto di vista del significante; ma non è solo sul piano delle istanze materiali che il cinema è eterogeneo, esso lo è anche ad un altro livello, quello dell’incontro, all’interno del film, tra gli elementi propri del cinema e quelli che non lo sono. La materia dell’espressione, come indica il suo nome, è la natura materiale del significante, o più esattamente del tessuto nel quale sono composti i significanti(riservando il termine “significante” alla forma significante); vi sono dunque linguaggi a materia dell’espressione unica, omogenei, e altri che combinano più materie, eterogenei. La materia dell’espressione della musica è il suono non fonico; l’opera è già meno omogenea poiché aggiunge i suoni fonici, la voce dei cantanti; la materia dell’espressione della pittura è composta da significanti visuali e cromatici di origine fisica diversa, essa può integrarvi dei significanti grafici. Come ben si sa, il linguaggio cinematografico combina cinque materie differenti, di cui solo una è specifica del linguaggio cinematografico: l’immagine in movimento; le tracce grafiche possono sia sostituirsi che sovrapporsi; la colonna sonora ha poi aggiunto le tre nuove materie: il suono fonico, il suono musicale e il suono analogico, ovvero i rumori.

Il cinema eterogeneo anche in un altro senso, le cui conseguenze teoriche sono nettamente più decisive: in esso intervengono configurazioni significanti, quelle che Metz chiama codici, che rendono necessario il ricorso al significante cinematografico.
Metz chiama in causa un’opposizione mutuata da Hjelmslev tra insiemi concreti, i messaggi filmici (o anche testi), e insiemi sistematici, entità astratte, che sono i codici; quest’ultimi non sono dei veri e propri modelli formali ma delle unità di aspirazione alla formalizzazione.
Un codice è concepito in semiologia come un campo di commutazioni, un ambito all’interno del quale variazioni del significante corrispondono a variazioni del significato, e in cui un certo numero di unità prendono il proprio senso le une in rapporto alle altre; il codice è un campo associativo costruito dall’analista, esso rivela ogni organizzazione logica e simbolica sottostante ad un testo, e non bisogna dunque assolutamente vedere in esso una regola o un principio necessitante

Tratto da ESTETICA DEL FILM di Nicola Giuseppe Scelsi
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