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La concezione classica del linguaggio cinematografico



Il rifiuto delle grammatiche del cinema implica una concezione empirica del linguaggio cinematografico, che è utile precisare prima di affrontare le elaborazioni teoriche formulate da Mitry e Metz; il libro di Martin, in cui egli lega la comparsa del linguaggio cinematografico alla progressiva scoperta dei procedimenti di espressione filmica, può utilmente servire da punto di riferimento per analizzare questa concezione indigena così come essa si esplica prima dell’approccio semiologico alla questione.
Il linguaggio cinematografico è doppiamente determinato, dalla storia e dalla narratività; la concezione storica del linguaggio presuppone anche due altre ipotesi, l’una che assimila il linguaggio a linguaggio filmico tradizionale (interpretazione rigida), l’altra che diluisce totalmente l’istanza del linguaggio facendo del cinema il luogo dell’apprensione diretta del reale (interpretazione lassista).
Martin non può impedirsi di notare che, applicato al cinema, il concetto di linguaggio è alquanto ambiguo: bisogna vedere in esso l’essenziale grammaticale e linguistico, essenzialmente legato alla tecnica dei diversi procedimenti di espressone filmica? Egli constatava prima che il cinema-linguaggio, quando si accontenta di essere un semplice veicolo di idee o di sentimenti nasconde in se stesso i fermenti della propria distruzione in quanto arte, perché tende a diventare un mezzo che non porta più il proprio fine in se stesso: è qui che appare la nozione di linguaggio cinematografico tradizionale, suscettibile di ricoprire ogni istanza di linguaggio. Tramite quest’accezione del termine linguaggio si opera uno slittamento del livello propriamente di linguaggio al livello stilistico, perfettamente evidente quando Martin si richiama al superamento del cinema-linguaggio verso il cinema-essere; certo, è giustissimo notare che la maggior parte dei grandi registi contemporanei hanno abbandonato tutto l’arsenale grammaticale e linguistico catalogato e analizzato da Martin nel suo libro, ma è sbagliato concludere che sia per lo più il linguaggio ad invecchiare e passare di moda. Ad evolvere sono le scelte stilistiche dei registi, le convenzioni dominanti di ripresa che caratterizzano per esempio la tale epoca del cinema; bisognerebbe dunque evitare ogni ambiguità e preferire al concetto di linguaggio quello di stile.
Il progressivo oltrepassamento del linguaggio verso la sublimazione della scrittura ha per conseguenza di convalidare la teoria baziniana di trasparenza, poiché il film, cessando di essere linguaggio e spettacolo diviene stile e contemplazione, e ciò che appare sullo schermo ridiventa simile a ciò che è stato filmato, perché découpage e montaggio giocano sempre meno il loro ruolo abituale di analisi e ricostruzione del reale.

Tratto da ESTETICA DEL FILM di Nicola Giuseppe Scelsi
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