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Mito di Prometeo, la metafora letteraria dell’architetto.

Mito di Prometeo, la metafora letteraria dell’architetto


Prometeo era un semidio noto per aver rubato il fuoco agli dei per donarlo agli esseri umani, egli fa quindi dono all’umanità della tecnica e quindi assicurò loro la sopravvivenza contro gli dei e contro la natura pericolosa. Il fuoco rappresenta quindi lo strumento discriminante di distinzione della loro identità dall’identità di qualsiasi altra cosa che è sia il principio della loro sopravvivenza che il loro comando sulle altre cose.

“[…] i mortali/prima indifesi e muti come infanti/e a cui diedi il pensiero e la coscienza […] avevano gli occhi e non vedevano, / avevano le orecchie e non udivano […] vivevano sottoterra come labili”.

Viene quindi rappresentata l’identità dell’architetto attraverso il riferimento a Prometeo, il quale inoltre rappresentava il proto-architetto anche per un’altra sua caratteristica ovvero quello di essere una sorta di veggente grazie alla sua capacità di vedere il futuro che è fondamentale per un architetto il quale deve essere in grado di essere lungimirante e di immagine il futuro e il destino della propria opera.
La figura dell’architetto segna l’inizio della possibilità della storia civile perché compie il gesto di separare lo spazio protetto dallo spazio caotico.

La filosofia antica sottolinea che l’arte, e in particolare l’architettura, è la capacità di costruzione effettiva infatti l’artista, e in particolare l’architetto, idea ma soprattutto fa che significa avere la responsabilità del cambiamento dello status quo, hanno un ruolo fondamentale Platone e Aristotele.
Solo un insieme di oggetti che fanno parte della tekne sono considerati arte e tra questi c’è anche l’architettura.
Nella filosofia antica, l’insieme dell’arte comprende molti più oggetti di quelli che intendiamo oggi per arte, come ad esempio l’artigianato.

Secondo Platone l’architettura nel sistema di gerarchia delle arti occupa una posizione medio-alta. Egli propone una classificazione delle arti secondo un criterio non estetico ma conoscitivo, ovvero attraverso la capacità di un oggetto di farci conoscere la realtà e quindi in base alla tipologia di relazione tra l’arte considerata e le cose effettive, cioè la realtà.
In base a questa gerarchia, la relazione tra le arti e le cose effettive diminuisce in modo progressivo.


  1. Arti dell’USO (grado più sofisticato), vedi esempio delle briglie del cavallo, chi le conosce meglio del cavaliere che le utilizza. Attraverso l’uso si conosce in modo diretto lo statuto d’identità di un oggetto.
  2. Arti che FABBRICANO oggetti = architettura, non imita gli oggetti ma fabbrica oggetti reali non delle imitazioni, chi fabbrica ha una conoscenza indiretta dello statuto d’identità dell’oggetto
  3. Arti che IMITANO gli oggetti è il grado più inferiore, comprende la pittura e la scultura considerate ingannevoli in quanto sono imitazioni del corpo umano che non danno accesso alla realtà infatti nel momento in cui si imita un oggetto non ne si conosce affatto lo statuto d’identità.
L’idea cardine che si può estrapolare da questa relazione è che l’architettura è un’arte riproduttiva che costruisce oggetti reali e non immagini di oggetti reali e non è un’arte che aumenta la distanza che separa il fruitore di un oggetto dalla verità del suo statuto d’identità nel senso che non illude il fruitore di essere qualcosa che non è.

La relazione tra l’oggetto artistico e il suo fruitore è stretta abbastanza da non compromettere la capacità del secondo di discriminare la verità e la falsità, che secondo Platone è una capacità essenziale per le sue conseguenze epistemologiche ed etiche.

Così come il bravo medico non è colui che cura la malattia in generale ma il paziente particolare, analogamente il bravo architetto è colui che sa costruire lo spazio in una circostanza particolare (particolare fruitore o particolare quartiere).

Tratto da ESTETICA DELL'ARCHITETTURA di Francesca Zoia
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