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Ottocento


Solger ritiene che lo scopo principale dell’architettura è quello di formare mediante la proporzione un tutto armonico in sé compiuto, l’architettura è completamente degradata quando viene usata soltanto per abbellire in quanto può distrarre dall’obiettivo primario dell’architettura.

Ruskin, autore di “Le sette lampade dell’architettura”, ritiene che il requisito specifico di un ornamento è che esso sia bello nel luogo in cui si trova e lavora a servizio di N, un buon ornamento deve avere una funzione servile e non da protagonista, cioè rispondere d un criterio di eteronomia.
L’ornamento è funzionale ad altro da sé e quindi deve essere disposto a sottomettersi a ciò che l’edificio è in essenza e dovrebbe trattarsi di una sottomissione spontanea e felice.

Questo significa che il criterio di autonomia viene sostituito da un criterio di eteronomia nel senso che segue le leggi compositive dell’oggetto architettonico del quale è una parte in quanto è funzionale allo statuto identitario dell’architettura della quale è una parte.



L’architettura è rappresentativa di qualcosa di più complesso ovvero di ciò che è l’identità umana. Quando l’architettura diventa rappresentativa di noi stessi e quindi in noi stessi si è di fronte ad un caso di narcisismo.

Mies van der Rohe

“L’architettura DEVE SERVIRE, NON DOMINARE”

L’eteronomia dell’ornamento è importante in quanto garantisce che i capricci ornamentali non agiscano contro l’identità dell’oggetto architettonico che non va confusa ma definita (un museo deve sembrare un museo perché ad esempio ha un’articolazione che aiuta un fruitore a interagire con i suoi oggetti) e che i capricci di chi progetta l’ornamento non agiscano ancora contro l’identità dell’oggetto, si tratta di una sorta di avvertimento contro il narcisismo.

Gli autori moderni ritengono che l’ornamento sia positivo se ha un ordo ovvero un ordine riconoscibile ma soprattutto eteronomo cioè facente parte dell’ordine generale che regola la composizione dell’oggetto architettonico del quale è apparecchio.

Il fatto che ci si è concentrati sulla nozione di ornamento dopo la sperimentazione barocca e dopo la sperimentazione funzionalistica non è casuale in quanto nel primo caso l’aumento degli elementi architettonici ornamentali poteva rappresentare un pericolo ovvero la confusione dell’identità degli oggetti architettonici.
Ragionare sull’esteticità dell’ornamento non significa fare una domanda su una categoria estetica ma significa fare una domanda sullo statuto identitario dell’architettura.
È importante tenere a mente che l’architettura non può solo sembrare qualcosa ma deve essere qualcosa, ovvero la sua dimensione estetica deve avere a che fare con la sua dimensione ontologica, cioè con il suo statuto identitario.

Loos ritiene che tutto l’ornamento sia negativo senza fare alcuna distinzione, assume una posizione drastica nei confronti dell’ornamento tanto che in “Ornamento e delitto” (1908) “l’evoluzione della civiltà è sinonimo dell’eliminazione dell’ornamento dall’oggetto d’uso”.
A sostegno della sua tesi compie una ricostruzione storica della produzione degli oggetti: agli albori della civiltà per dare valore agli oggetti si aggiungevano fronzoli, con l’evoluzione arriva il punto in cui si producono oggetti sofisticati che si avvicinano alla perfezione per cui non è necessario aggiungere altro (l’ornamento è un delitto).
Egli parla quindi della relazione tra ornamento e valore, il qualche si misura in funzione del suo rapporto organico con la civiltà.

Adorno, filosofo tedesco, cita Loos a proposito dell’ornamento e sostiene che la critica dell’ornamento equivale alla critica di ciò che ha perso il suo significato funzionale e simbolico.
Egli ritiene che la tesi di Loos debba essere corretta perché un ornamento può essere un’addizione superflua ma anche un’addizione quasi necessaria in quanto può seguire l’ordine strutturale e facilitare l’identificazione dell’architettura.
Se l’addizione ornamentale X è progettata in relazione allo statuto identitario dell’architettura A e non è in sé in autonomia dallo statuto identitario dell’architettura A con l’obiettivo di essere aggiunta a un numero infinito di architetture possibili allora può essere insieme con gli elementi strutturali dell’architettura A e quindi necessaria alla sua costruzione.

Il pericolo che secondo Adorno caratterizza la contemporaneità è che si può usare l’ambiguità della relazione tra necessità e superfluità per dare l’apparenza di una cosa necessaria a una cosa superflua o usare l’assenza di ornamenti per costruire un oggetto inutile che sembra un oggetto utile ma allo stesso tempo si può usare la presenza di ornamenti per costruire un oggetto utile che sembra un oggetto inutile.
Entrambi i casi hanno a che fare con la necessità, ovvero a necessità di avere l’oggetto ma si tratta di due strategie diverse, nel primo caso si sottolinea la necessità delle necessità mentre nel secondo caso si sottolinea la necessità di superfluità.
Se l’ornamento ha la capacità di trasformare lo statuto identitario dell’oggetto al quale è aggiunto e quindi ha il potere di fare un’operazione importante ovvero ha il potere di cambiare l’identità dell’oggetto nel senso dare genesi ad un oggetto B a partire dall’oggetto A per cui si può dire che il disegno di un ornamento può essere anche un motore propulsore di invenzione e innovazione ma non fine a sé stesso.
Ad esempio, gli occhiali sono un oggetto per i quali si può distinguere la necessità (lente) dall’ornamento o il superfluo (montatura), la forma può diventare un brand per un’intera generazione allora si tratta di un qualcosa di utile per esempio per gli adolescenti.
Questo è visto come qualcosa di positivo in quanto si tratta di un nuovo modo per creare un oggetto e quindi si è di fronte ad un’invenzione mentre è negativo quando da occhiale diventa uno status symbol in quanto si è di fronte ad una speculazione.

Tratto da ESTETICA DELL'ARCHITETTURA di Francesca Zoia
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