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Attuazione di modelli familiari transazionali


Sebbene il terapista debba mantenere la sua posizione di guida, deve anche evitare il pericolo di questa sua posizione, vale a dire il rischio di diventare troppo centrale. Una famiglia inizia una terapia per ricevere aiuto da un esperto perciò tende a rivolgersi solo a lui. Se il terapista non controlla questa tendenza, la seduta può essere programmata in modo tale che egli rimanga centrale, anche quando tace.    
Risultato di ciò è che la seduta può essere guidata dalle supposizioni e dalle sensazioni del terapista. Oppure può seguire le linee indicate da quel componente della famiglia che è più attivo nel contesto della seduta terapeutica.    
Un altro pericolo consiste nel permettere che la seduta si limiti alle descrizioni fatte dalla famiglia, dato che i reali modelli transazionali possono essere totalmente al di fuori della coscienza che questa ne ha.    
Per avere un quadro reale il terapista deve spingersi al di là dell’autoritratto verbale della famiglia. Di conseguenza, il terapista osserva i segnali non verbali che confermano o contraddicono quanto la famiglia gli va dicendo.    
Agire modelli transazionali. Il terapista deve aiutare i membri della famiglia a interagire  in sua presenza, in alcuni dei modi in cui essi sono soliti risolvere i conflitti,sostenersi l’uno con l’altro, stringere alleanze e coalizioni o diminuire la tensione. Le istruzioni devono essere esplicite, ciò riduce la tendenza a rendere centrale il terapista e aiuta i componenti della famiglia a sperimentare le loro stesse transazioni con accresciuta consapevolezza.    
Ricreare i canali di comunicazione. Questo processo può essere bloccato da una famiglia che insiste a usare il terapista come ascoltatore. Il terapista, quindi, deve disporre di un certo numero di tecniche per incoraggiare le comunicazioni intrafamiliari in seduta: può insistere che le persone parlino tra di loro, può evitare di guardarle, può spostare indietro la sedia, può rifiutarsi di rispondere indicando un altro membro della famiglia, può perfino lasciare la stanza per osservare dallo specchio unidirezionale. Dopo aver usato più volte queste tecniche, i componenti della famiglia accetteranno, quale regola imposta dal sistema terapeutico, di parlare tra di loro.    
Manipolare lo spazio. La collocazione può essere una metafora che indica vicinanza o distanza tra le persone. Quando una famiglia viene per la prima volta in terapia il suo modo di disporsi può dare indicazioni di alleanze e coalizioni, centralità e isolamento. La disposizione spaziale operata dal terapista può anche essere una tecnica per incoraggiare il dialogo. La collocazione può essere un modo efficace di lavorare con i confini. Se il terapista vuole creare o rafforzare un confine, può portare dei componenti di un sottosistema al centro della stanza e far sì che altri componenti spostino indietro le proprie sedie in modo da poter osservare senza interrompere. Se vuole bloccare il contatto tra due persone può separarle oppure frapporsi a esse, agendo come mediatore. La manipolazione spaziale è efficace perché è semplice.

Tratto da FAMIGLIE E TERAPIA DELLA FAMIGLIA di Antonino Cascione
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