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Aristotele. Felicità, virtù etiche e dianoetiche


Quale sarà lo stile di vita di un cittadino della polis? Il fine ultimo per è certamente sapere cosa vuol dire essere buoni, ma anche e soprattutto diventare buoni. L’etica per non è un elenco di norme ma deve mirare a rintracciare qual è il fine della vita umana. Esso è la felicità: la ricchezza o il piacere possono essere dei fini, ma in realtà sono più propriamente tappe verso la felicità (T 154). Ciò che differenzia l’uomo dal resto è la ragione: il bene sarà allora vivere secondo ragione. L’uomo non sceglie di essere felice ma solo i mezzi che possono condurlo alla felicità. Il piacere è un bene, non il bene: tanto sarà migliore quanto migliore è l’attività che lo accompagna. Per questo motivo Aristotele distingue tra felicità e felicità compiuta. Nella vita secondo ragione risiede la virtù: ciò che fa si che l’uomo sia permanete uomo. La felicità può essere allora definita come attività dell’anima secondo virtù. Egli distingue tra virtù etiche, le quali riguardano il carattere, ossia l’uso della ragione in relazione alle emozioni e ai desideri, e le virtù dianoetiche che riguardano l’uso della ragione di per se stessa. La virtù si acquista con l’esercizio così da diventare un habitus. È attraverso azioni ripetute che si forma il carattere di un individuo (T 155). Il saggio è colui che è capace di determinare il giusto mezzo relativo a ciascuna circostanza.

Tratto da FILOSOFIA ANTICA di Carlo Cilia
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