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Platone. I nomi, il vero e il falso


Nella cultura sofista c’era la concezione che i nomi potessero essere uno strumento valido per la conoscenza delle cose. Platone nel Cratilo respinge questa concezione. Egli afferma che i nomi non sono né dettati dalla natura né frutto di convenzione perché sarebbe come dire, in entrambi i casi che essi sono infallibili. La loro correttezza è valutata sempre da un determinato soggetto: e chi meglio del dialettico può valutarli? Dalle idee dunque si può arrivare ai nomi e non viceversa come pretendeva Antistene (T 37).
Nel Teeteto Platone conduce un’ampia critica contro le tesi di Protagora che affermava che l’uomo è misura di tutte le cose: questa affermazione legittimava tutte le opinioni (anche quella del malato che afferma che il miele è amaro) giungendo all’impossibilità di distinguere il vero dal falso: questo atteggiamento è inaccettabile per Platone. Se si afferma che tutte le opinioni sono vere bisogna accettare anche quella che afferma che non tutte le opinioni sono vere e che quindi anche quella che sostiene che la tesi di Protagora è falsa: come può allora egli ritenersi maestro? Bisognerà allora distinguere bene il vero dal falso. Con questa aporia conclude il Teeteto (T 29).

Tratto da FILOSOFIA ANTICA di Carlo Cilia
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