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Plotino. L'Uno come suprema ipostasi


L’Uno e l’emanazione: nulla può essere propriamente predicato dell’Uno, neppure l’essere. Già Platone affermava nel Parmenide e nel Sofista che se predicassimo l’essere dell’Uno, l’Uno non sarebbe più tale. Questo non significa che l’uno non esiste, anzi Plotino considera l’Uno la suprema ipostasi (letteralmente “ciò che sussiste sotto” che in latino viene tradotto sub-stantia) ossia la realtà che sta a fondamento di ogni cosa. Predicare vuol dire introdurre attributi ma questo non è possibile dell’Uno. L’unico modo per parlarne è dire che esso non è quindi sviluppare una teologia negativa che non fa concessioni all’antropomorfismo. I termini meno inadeguati sono Uno e Dio. La divinità è dunque prima di forma, infinita, senza limiti. All’Uno non può essere attribuito neppure l’intelletto in quanto esso è troppo perfetto per avere bisogno di intelligenza (e in questo consiste l’errore di Aristotele che lo ha concepito come un intelletto che pensa se stesso, un Dio filosofo). Ma allora come si spiega la relazione tra l’Uno e i molti? Secondo Plotino (che in questo modo tenta di ovviare al problema) non ha senso chiedersi in che relazione stanno l’Uno e i molti ma ciò che basta sapere è che l’Uno è certamente superiore ai molti poiché è certamente più perfetto (questo assunto non è mai stato propriamente dimostrato dai neoplatonici).

Tratto da FILOSOFIA ANTICA di Carlo Cilia
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