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La città di Genova ha un suo ruolo: il rapporto di causa-effetto

La città ha un suo ruolo: sembra evidente al lettore che le storie dei protagonisti non avrebbero potuto svolgersi altrove. 
Innanzitutto, i mestieri (il carbunè, lo sterratore, la sarta che cuce le giubbe e i pantaloni di jeans per i camalli, le prostitute che ricevono nei bassifondi dei vicoli, etc), che tanto influenzano i destini dei personaggi, sono quelli tipici di una città di porto.

Ma soprattutto la morfologia (i vicoli stretti, bui) e l’anima della città (commerciale, portuale, ricettiva/aperta verso l’esterno) sembrano essere legati con un doppio filo alle esistenze di chi la abita. Questo rapporto di causalità tra la città e il destino dei protagonisti è fortemente esplicitato nella narrazione. Ciò avviene innanzitutto per gli avvenimenti lieti, come il colpo di fulmine tra Paride e Sascia, che si incontrno-scontrano in uno degli strettissimi vicoli del centro storico: «Si sono incontrati in vico Cavoli, un carrugio lungo uno sputo e a un passo da Vico Pietre e dalla bottega di Giggi ‘o Strassé. Non c’era stata alcuna premeditazione, in nessuno dei due, ma non poteva succedere altrimenti: il vicolo era stretto, molto stretto. E buio pesto in quell’ora del giorno e in quella stagione».

Ma anche per gli avvenimenti funesti: la morte di Camilla, madre di Sascia, come quella di Giacomo, non appena rimette piede a Genova dopo i dieci anni in Polinesia, avvengono nel porto e vedono coinvolti i cavalli di manovra, animali utilizzati fino agli anni Cinquanta per i trasporti di merci molto pesanti. Nella morte di Camilla è coinvolto addirittura un elefante: «L’elefante della disgrazia si chiamava Selim ed era sbarcato al porto di Genova per proseguire il suo viaggio in una speciale carrozza ferroviaria diretta a Zurigo, dove l’animale era atteso come una delle vedette dello zoo della città». Solo nel contesto di una città descritta come un porto più importante di New York, all’inizio del Novecento possono arrivare Rodolfo Valentino e animali esotici, senza che questo sia considerato un evento eccezionale. Solo in questo contesto, quindi, la morte di Camilla è potuta accadere secondo quelle modalità.

Della morte di Giacomo è invece responsabile l’ultimo dei cavalli di manovra del porto di Genova: alla fine degli anni ’50 ormai il suo lavoro è stato soppiantato dalle macchine: «Ursus è un cavallo frisone di venticinque anni di età ed è l’ultimo dei cavalli di manovra ancora in servizio sui moli del porto. Questa mattina al Palazzo San Giorgio verrà celebrato e onorato con grandi manifestazioni perché questo è il suo ultimo giorno di lavoro […]. Al suo posto hanno già preso servizio potenti motrici diesel, le macchine che si sono già fatte notare da Giacomo appena sbarcato per via del penetrante odore di bruciato che spargono al loro passaggio».

Questo episodio – alla fine del romanzo – lascia aperto un interrogativo: quanto cambieranno i lavori del porto nell’epoca della meccanizzazione? Che ne sarà dell’operoso proletariato che abita l’angiporto? Come cambieranno i rapporti umani, i consumi, i modi di ritrovo, le speranze negli anni del boom economico e della contestazione?

Cercheremo una risposta (parziale) nell’interpretazione di De André-Gennari e Tabucchi.

Tratto da GENOVA NELLA LETTERATURA di Isabella Baricchi
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