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La descrizione di Genova in "Un destino ridicolo"

Nonostante la descrizione della città vasta e viva possa assomigliare a quella della Regina disadorna, in questo romanzo non c’è l’elogio della Genova operosa presente in Maggiani attraverso le figure positive del proletariato cittadino (portuali, sarte, partigiani, etc), né una fiducia nelle possibilità mercantili o industriali della città. Genova è soprattutto punto di approdo per personaggi ai margini, con le storie più strane alle spalle. Eppure lo spaccato sociale analizzato è lo stesso della Regina disadorna: quello degli abitanti del centro storico. Dove, al posto degli operai del porto e delle sartine, abitano personaggi che sembrano usciti dalle canzoni di De André: vagabondi, delinquenti, marinai di passaggio, prostitute: «Aveva riconosciuto subito le puttane […]. Si trovò di fronte un uomo alto, bellissimo […]. Gli fece strada in un vicolo poco lontano e gli indicò tre donne, due delle quali presero a blandirlo». 

Gli stessi protagonisti sono tre personaggi borderline che vivono la Genova dei night, delle risse e degli affari loschi. La Genova dei locali dove si ritrovano a volte anche i mariti in cerca di evasione e «i figli di papà con la cravatta comperata da Finollo», tutt’oggi prestigiosissima sartoria genovese. In questo contesto di bar notturni si inserisce anche il personaggio del giovane De André, amico del protettore Carlo: «Fabrizio, un ragazzo ricco, magro e intelligente, che da qualche anno si era messo a scrivere canzoni e aveva già inciso due dischi di successo». Il legame tra i personaggi delle canzoni di Faber e quelli di questo romanzo viene esplicitato quando si parla di Maritza-Boccadirosa, la giovane istriana che farà impazzire d’amore Carlo: «È lei che si è fatta me. Era venuta a Genova perché voleva disfarsi dell’enigma che la costringeva ad ascoltare per ore e ore le mie canzoni. Se un mito te lo scopi, e anche male, probabilmente te ne liberi, e vivi tranquillo. Questo penso che sia successo, e nel lasciarmi mi ha fatto un regalo. Ci ho scritto sopra una canzone, ho pensato a una ragazza che arriva in un paesino e fa l’amore con tutti i maschi che le piacciono, mettendo in subbuglio la microsocietà benpensante».

Come anticipato, anche De André e Gennari utilizzano il dialetto genovese per immergere il lettore nel tessuto sociale descritto, sia nelle descrizioni che nei dialoghi dei protagonisti: e non poteva non essere così, vista la riabilitazione del dialetto genovese a lingua poetica operata da De André attraverso la sua musica.

Tratto da GENOVA NELLA LETTERATURA di Isabella Baricchi
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