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Principali tappe del conflitto israelo-palestinese

Fine dell’800: nasce a Zurigo, per opera di Theodore Herzl, il sionismo = movimento di liberazione nazionale, tipicamente europeo, ma con una connotazone religiosa. Herzl sostiene che il popolo ebreo non è un problema né sociale né religioso, ma nazionale: gli ebrei devono smettere di escludersi o di essere esclusi dagli altri popoli emerge la richiesta di riavere la loro patria, la Terra Promessa da Dio al suo popolo: la Palestina.
1904: vengono proposte altre 2 possibili “patrie”: una in Africa (l’Uganda) e una in America Latina (l’Argentina), ma entrambe vengono rifiutate dai padri sionisti, perché solo la Palestina è la Terra Promessa da Dio.
1880: inizia la aliya = ritorno degli ebrei alla Terra Promessa, in seguito all’inasprimento dei rapporti con gli altri popoli, prima, e all’avvento dei pogrom sovietici e delle leggi razziali in Europa, poi. La Palestina, però, è abitata dagli arabi, che hanno stili di vita completamente diversi da quelli degli ebrei si rivela già difficile un eventuale processo di integrazione tra i 2 popoli.
1917: Dichiarazione di Balfur, nella quale la Gran Bretagna assicura gli ebrei della futura costruzione di un focolaio nazionale ebraico → forti di questa promessa, gli ebrei si preparano alla costruzione di un vero e proprio stato ebraico.
1936-39: la situazione tra arabi ed ebrei degenera, soprattutto nel momento in cui la Gran Bretagna si rivolge ai propri interessi europei (la Germania di Hitler si sta riarmando), disinteressandosi del teatro mediorientale gli israeliani, militarmente più forti ed organizzati, si impongono sugli arabi.
1947: progetto ONU di spartizione della Palestina e della città di Gerusalemme: ma entrambe le parti rigettano il progetto.
1948: nasce lo Stato d’Israele.
1948: Prima guerra arabo-israeliana: la superiorità militare permette ad Israele di vincere facilmente gli eserciti arabi. Israele non impone lo sgombero dei territori occupati; ciò nonostante, inizia il primo esodo palestinese verso i paesi limitrofi (Libano, Giordania, Siria, Egitto, Iraq), ai quali, però, Israele vieterà il rientro. Comincia così la questione dei campi di profughi palestinesi.
Nel frattempo, Israele si rende conto dei rapporti conflittuali degli stati confinanti nei suoi confronti emerge la questione della sicurezza a partire dai confini e la dottrina degli “attacchi preventivi”
1967: Guerra dei 6 giorni: Israele sbaraglia senza troppi problemi un attacco da parte degli eserciti arabi. Intanto, si acuisce la questione dei profughi
1973: Guerra dello Yom Kippur: nonostante l’attacco a sorpresa, Israele riesce per l’ennesima volta ad umiliare gli eserciti arabi
1987: Prima intifadah = “risveglio” dei palestinesi nella striscia di Gaza. Per la prima volta, Israele si rende conto che ora il nemico è “in casa” e si organizza con lanci di pietre contro i soldati. Nasce Hamas = prima entità locale che cerca di dare sostegno, anche se in modo estremista, al risveglio palestinese → per questo è stata probabilmente “premiata” nelle elezioni del 2006
Durante queste tappe, emerge la figura di Yasser Arafat
1969: Arafat è a capo dell’OLP movimento nato, però, nel 1964 per volontà dell’egiziano Nasser
1972: gli eventi dei giochi olimpici di Monaco mostrano al mondo la gravità della questione arabo-israeliana
1993-94: nasce l’Autorità Nazionale Palestinese. Arafat per la prima volta mette piede nei territori palestinesi. L’intifadah non è frutto della volontà di Arafat, ma si rende conto della buona occasione per proporsi al popolo palestinese come capo.
2000: Seconda intifadah: in seguito al rifiuto da parte di Arafat della proposta di Barak, che gli offriva il 95% dei territori richiesti, nasce a Gerusalemme un forte movimento di contestazione contro lo stesso leader palestinese.
2003: il “Quartetto” (USA, UE, ONU, Russia) definisce la Road Map, la quale chiedeva ai palestinesi il controllo degli estremisti e degli atti terroristici, e ad Israele di congelare le conquiste dei coloni, allo scopo di giungere ad un punto di accordo.
2004: Sharon annuncia il ritiro (spontaneo e forzato) dalla striscia di Gaza, non richiesto dalla Road Map. Secondo alcuni esperti, sarebbe sbagliato interpretare tale decisione come un concreto passo verso la pace. Con il ritiro, infatti, Sharon ha nuovamente congelato il processo di pace ha bloccato la costruzione di uno stato palestinese; ha congelato la questione dei profughi palestinesi; ha distolto l’attenzione internazionale dalla costruzione del “Muro della discordia” in Cisgiordania.

Tratto da GEOGRAFIA POLITICA ED ECONOMICA di Elisa Bertacin
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