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Sistemi glaciali

Trasporto glaciale

In un sistema glaciale di tipo vallivo sono identificabili due direttrici di trasporto del detrito:
- una direttrice più “epidermica” lungo la quale il detrito non giunge al contatto con la base del ghiacciaio;
- una direttrice più “profonda” lungo la quale il detrito raggiunge l’interfaccia ghiaccio-substrato. Nel primo caso il detrito, accumulatosi sulla superficie del ghiacciaio a seguito del distacco dalle pareti, viene dapprima rapidamente coperto da neve fresca, successivamente inglobato nel ghiaccio (detrito endoglaciale). Giunto nella zona di ablazione emerge a formare una coltre di detrito sopraglaciale.
Il detrito può concentrarsi nella zona di contatto tra due lingue glaciali a valle di uno spartiacque in roccia (nunatak). Inizialmente il detrito subirà un trasporto endoglaciale, ma giunto nella zona di ablazione emergerà gradualmente a formare una morena mediana.

Il detrito sopraglaciale è trasportato passivamente sulla superficie del ghiacciaio e non subisce sostanziali modifiche; le caratteristiche morfologiche e morfometriche saranno pertanto simili a quelle del materiale detritico originario.
Till di ablazione: deposito eterogeneo a supporto di matrice e/o a supporto di clasti, poco addensato, con clasti eterometrici angolosi/subangolosi, talvolta con accenni di stratificazione.

Il detrito subglaciale subisce invece un continuo sfregamento con il substrato che muta le caratteristiche morfologiche e morfometriche dei clasti. La granulometria dei sedimenti subglaciali si caratterizza per la presenza di tre distinte popolazioni:
- blocchi e frammenti rocciosi;
- granuli minerali prodotti dalla frammentazione della roccia
- particelle fini prodotte dall’abrazione dei singoli minerali.

Depositi glaciali (till)

Till: detrito deposto direttamente dal ghiacciaio; è un diamicton, cioè un deposito eterometrico, privo di strutture sedimentarie costituito da clasti e materiale fine. Non indica la provenienza del deposito (termine non genetico).

I meccanismi di sedimentazione glaciale che originano questi depositi sono quattro:
- Lodgement (alloggiamento) → causato dall’aumento della resistenza al taglio alla base del ghiacciaio che impone l’arresto del materiale detritico trascinato all’interfaccia ghiaccio-substrato.
- Melt-out (fusione) → causato dal rilascio diretto del materiale detritico per fusione del ghiaccio.
- Sublimation  → rilascio diretto del materiale detritico per vaporizzazione del ghiaccio, attivo soprattutto in Antartide per effetto delle basse temperature e dell’elevata aridità.
- Subglacial deformation (deformazione subglaciale) → deformazione dei sedimenti subglaciali; cambiamento nell’assetto strutturale, sedimentologico e della stratificazione.

Per questi meccanismi si originano sei tipi di till:
- Lodgement tilltill di alloggiamento; clasti levigati, arrotondati e striati
- Subglacial melt-out tilltill di fusione subglaciale; di ablazione
- Deformation tilltill di deformazione
- Supraglacial melt-out (moraine) tilltill di fusione sopraglaciale; manca la parte basale del ghiaccio, caratteristiche dei clasti intermedie
- Flow tilltill di colata; depositi sopra la lingua che vengono coinvolti in fenomeni di debris flow
- Sublimation till→ till di sublimazione

Forme di accumulo glaciale

Possono essere prodotte dall’azione diretta del ghiaccio (morfologie glaciali) o dall’azione delle acque di fusione (morfologie glacio-fluviali).

Morene glaciali:
Le morene marginali si formano per effetto della combinazione di 6 diversi meccanismi:
1) spinta glaciale;
2) glaciotettonica endoglaciale e proglaciale;
3) accumulo di frane di crollo e debris flow contro il margine glaciale;
4) accumulo di materiale glaciale sul margine glaciale;
5) ablazione superficiale;
6) ablazione profonda.

 E’possibile identificare 3 grandi categorie di morene:
- morene di glaciotettonica/di spinta
- morene di accumulo
- morene di ablazione

Esker:  costituiscono dei rilievi allungati ad andamento sinuoso (lunghezza da pochi m ad alcuni km, altezza fino ad alcune decine di m), formatisi in ambiente subglaciale da parte di torrenti subglaciali o endoglaciali. I fianchi sono generalmente ripidi. Sono formati da sabbie e ghiaie stratificate.
Kettle-holes:  sono rappresentati da depressioni chiuse subcircolari che si sviluppano nella piana fluvioglaciale o in corrispondenza di altre tipologie di depositi per effetto della fusione di ghiaccio morto completamente staccato dalla lingua glaciale e coperto da depositi. Con l’ulteriore scioglimento, le depressioni si ampliano.
Drumlin: rilievi allungati secondo le linee di deflusso del ghiacciaio; si formano alla base quando il ghiacciaio modella i suoi stessi depositi. Il ghiacciaio riesce a modellare l’accumulo di sedimenti dando una direzione secondo il movimento (forma a canoa rovesciata).
Terrazzi di kame: superfici ad andamento orizzontale delimitata da una scarpata; è il riempimento dello spazio tra versante e limite del ghiacciaio. Quando un ghiacciaio poggia lateralmente su un versante, le acque di fusione defluiscono lateralmente depositando sedimenti fluvioglaciali che colmano la depressione laterale. Quando il ghiacciaio si ritira i sedimenti formano un terrazzo di kame. Si può formare in vari modi a seconda del ghiacciaio e della conformazione del versante.
Frane di trasporto glaciale o “marocche”:  sono costituite da accumuli di blocchi angolosi non selezionati caduti per effetto del distacco di frane di crollo (derivanti da scalzamento di versante per effetto dell’approfondimento del ghiacciaio) sulla superficie del ghiacciaio e mobilizzate dal movimento del ghiacciaio stesso (till di ablazione). Nel caso di trasporto su brevi distanze l’accumulo può essere agevolmente identificato.
Di solito lo sviluppo si verifica nelle ultime fasi di vita di un ghiacciaio: questo perché quando il ghiaccio comincia a ritirarsi diminuisce la pressione sulle pareti del versante che quindi è soggetto a frane.
La morfologia di superficie, successivamente al definitivo scioglimento del ghiaccio, è caratterizzata da una tipica superficie a dossi e depressioni.

Fenomeni periglaciali

Sono fenomeni che si localizzano nelle aree a clima più freddo e il loro sviluppo avviene senza che vi sia l’intervento diretto del ghiacciaio; si sviluppano a seguito dell’alternanza di episodi di congelamento dell’acqua e di fusione del ghiacciaio.
Le condizioni di gelo-disgelo sono determinate dagli scambi di calore tra l’aria e il terreno. La temperatura del terreno in superficie risente delle variazioni della temperatura dell’aria.
- Variazioni diurne: Di breve durata, hanno effetto nelle porzioni più pellicolari del terreno; danno origine a ghiaccio aciculare o pipkrakes
- Variazioni stagionali: Di più lunga durata, hanno effetto a profondità più e levata; danno origine a geliflussi
- Variazioni a lungo termine. Sono legate alle variazioni climatiche globali; determinano lo sviluppo do  glaciazioni (rock glaciers)
Nel terreno le oscillazioni stagionali diminuiscono di ampiezza con l’aumentare della profondità(cfr. area grigia) fino al “livello neutro”.
Al di sotto del “livello neutro” la temperatura aumenta secondo l’andamento del gradiente geotermico locale.
Lo strato attivo è la porzione di terreno che, per effetto delle variazioni positive e negative di temperatura, subisce stagionalmente cicli di gelo-disgelo consentendo lo sviluppo di numerosi fenomeni tipici dell’ambiente periglaciale (es. lobi di geliflusso). Al di sotto dello strato attivo il terreno è perennemente gelato (permafrost).

Lo sviluppo del permafrost è legato alla temperature media annua dell’aria che a sua volta varia in funzione di:
- latitudine (es. Antartide e Russia)
- quota ed esposizione → si trova a quote più elevate oltre il limite della vegetazione. In un versante esposto a sud le quote tendono ad alzarsi perchè l’insolazione limita lo sviluppo.

In base all’altitudine, all’insolazione e alla temperatura, gli ambienti climatici periglaciali si dividono  in:
- Artico
- Continentale
- Alpino
- Tibetano
- aree con basso gradiente termico annuale
Lo sviluppo del permafrost è in taluni casi favorito dalla presenza di anomalie termiche instauratesi a seguito della presenza di circolazioni convettive al’interno di materiali porosi.
Nelle cavità carsiche e nelle miniere la circolazione dell’aria è influenzata dal rapporto tra la temperatura dell’aria all’esterno (Ta) e all’interno delle gallerie (Ti). Durante l’estate Ta èmaggiore di Ti, quindi la densitàdell’aria all’interno delle gallerie èmaggiore di quella esterna e tende quindi a defluire dalle quote più elevate a quelle meno elevate.
Nel periodo invernale la circolazione si inverte.

Nei materiale detritici con struttura di tipo open-work o partially open-worke in presenza di un’abbondante copertura nevosa si sviluppano circolazioni convettive in grado di generare condizioni di permafrost. Si osserva uno scioglimento parziale del manto nevoso perché attraverso il manto nevoso l’aria fredda penetra e si scalda, quindi la continua aria fredda che entra provoca un abbassamento della T con formazione di permafrost non in superficie.

Fenomeni periglaciali

Frost shattering: l’acqua presente nelle discontinuità del substrato, nei periodi di più bassa temperatura, favorisce lo sviluppo do ghiaccio (aumento di V) e quindi di fenomeni diffusi di crioclastismo con abbondante produzione di detrito.
Frost heave o criosollevamento: spostamento verso l'alto di particelle di terreno a causa dell'espansione volumetrica dell'acqua contenuta nel terreno stesso durante il congelamento.
Lo spostamento avviene perpendicolarmente alla superficie, sia in modo puntuale con la formazione di aghi di ghiaccio, sia (più raramente) in modo areale con lo sviluppo di ghiaccio di segregazione. Gli spostamenti possono essere anche di parecchi centimetri in un solo ciclo gelo-disgelo. Il criosollevamento è un processo che può avvenire anche in assenza di permafrost.
Il criosollevamento nelle aree con permafrost può anche coinvolgere il substrato roccioso sino al sollevamento di grossi blocchi o alla creazione di campi di pietre → felsenmeer.
Crioselezione:  processo di selezione granulometrica connessa con il criosollevamento e/o il regime termico dello strato attivo. Si hanno infatti due tipi di crioselezione:
1) verticale, in cui le particelle più grandi migrano verso l'alto durante il congelamento e quelle più piccole verso il basso generando livelli a diversa granulometria;
2) laterale, in cui si verifica un movimento delle particelle più fini in allontanamento dal fronte di congelamento che può non essere piano ma ondulato, generando così corpi selezionati in contatto laterale (es. suoli poligonali, stone stripes).

Tratto da GEOMORFOLOGIA E RILEVAMENTO GEOLOGICO di Marco Cavagnero
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