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L’alterità dell’"altro uomo"


L’ermeneutica, dunque, nata come metodo dell’interpretazione, è sempre più divenuta una descrizione degli stati di esperienza intesi come relazione di alterità.
Si è visto inoltre, come la comprensione esiga di assumere il punto di vista dell’altro, esige dunque una trasposizione di esperienza. L’approccio ermeneutico è da considerare una delle modalità più riuscite di approssimazione all’altro e più in generale al diverso.
La presenza dell’altro mette in discussione poiché lo svuota, lo chiama continuamente in causa, lo costringe ad assumersi responsabilità a partire dall’altro. L’altro è infatti assoluto nella sua presenza, ma contingente nella sua azione, e chiama all’azione.
Il soggetto è dall’altro messo in opera, si destina all’altro perché è l’altro a dargli senso.
La relazione con gli altri ci rimette in discussione, facendo scoprire in noi nuove risorse. Egli non nega che per comprendere gli altri si debba cercare di assumere il loro posto e quindi che la comprensione esiga una trasposizione; ma dice che la trasposizione dell’altro è riduzione dell’altro a sé. Il costituirsi dell’altro all’interno della coscienza porta la coscienza fuori di sé. L’apparizione dell’altro, blocca la dinamica del trascendimento come continua riconquista di sé, perché l’altro è da riconoscere, non è da conquistare.
L’apparizione dell’altro impegna l’io ad una risposta che costringe a dover assumere di fronte all’altro una sua responsabilità. Quando l’altro appare, io non posso non sentirmi responsabile per lui: in ogni momento posso esser chiesto a render conto dell’altro.
Quando l’altro appare emerge nella sua più assoluta nudità. Per approssimare l’altro bisogna guardarlo in volto e il volto dell’altro parla, anche senza parole.

Tratto da GUIDA ALLA FORMAZIONE DEL CARATTERE di Anna Bosetti
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