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La Favola delle Api - I piaceri reali e gli agi


(O) reali piaceri, agi e conforti

Per Epicuro, il sommo bene consiste nel piacere; questi tuttavia condusse una vita sobria, così da provocare poi delle contese sul significato della parola. Secondo alcuni, il piacere di Epicureo era l’essere virtuosi. Erasmo, nei colloqui, dice che non vi sono più grandi epicurei dei pii cristiani. Altri sostenevano invece che per piacere aveva inteso quello dei sensi e la soddisfazione delle nostre passioni. Secondo Mandeville, il piacere è ogni cosa che piace.
L’uomo mondano, pur privo di meriti, desidera essere onorato oltremodo, e circondarsi di donne raffinate e belle. Mentre sguazza in un mare di lussuria e vanità, tutto preso a soddisfare i suoi appetiti, desidera che il mondo lo consideri privo di orgoglio e sensualità, coraggioso e generoso. Vorrebbe che credessimo che la pompa e il lusso di cui si circonda siano per lui delle afflizioni.
D’altra parte, gli stoici consideravano saggiamente l’instabilità della fortuna, la vanità dell’onore e la precarietà delle ricchezze; ponevano la vera felicità nella calma di una mente libera da colpe e ambizioni. Essi hanno affrontato la morte in modo intrepido, lasciando il mondo senza avversione.
Fra gli antichi essi ebbero grande prestigio; altri cercarono però di provare che quanto gli stoici dicevano era superiore ad ogni forza e possibilità umana, e che dunque tali virtù di cui si vantavano erano una finzione, piena di arroganza e ipocrisia.
Nella favola Mandeville chiama piaceri reali quelli opposti ai piaceri esaltati dai saggi per il loro valore. Mandeville non chiama piaceri le cose che gli uomini dicono essere le migliori, ma quelle che sembrano piacere loro di più. Non si può credere infatti che il massimo diletto di un uomo siano gli ornamenti della mente, se poi lo si vede ogni giorno procurarsi piaceri opposti ad essi.
Mandeville confessa di non aver trovato in alcun luogo maggiore austerità di costumi o disprezzo dei piaceri mondani che nelle comunità monastiche, in cui delle persone che volontariamente rinunciano e si ritirano dal mondo hanno la sola occupazione di vincere i propri appetiti.
Alcuni begli esempi di rinuncia alla carne farebbero inchinare di fronte alla virtù, se non fossimo dissuasi da chi sostiene che ciò sia farsa e ipocrisia; che per quanto essi fanno mostra di amore angelico, fra loro non c’è che discordia. Essi sono fatti con lo stesso stampo e hanno la stessa natura corrotta degli altri uomini, sono nati con le stesse debolezze e soggetti alle stesse passioni.
Se c’è un clero che vuole far pensare che dà maggior valore all’anima che al corpo, non deve far altro che evitare di mostrare un interesse per i piaceri dei sensi maggiore di quello che di solito mostra per i piaceri dello spirito, e potrà star certo che la povertà non lo farà mai disprezzare.
Se i grandi del clero non dessero valore ai piaceri terreni, ci domandiamo perché infuriano tanto fra loro invidia e vendetta, o perché i loro pasti e i loro divertimenti sono tanto apprezzati. Mandeville si domanda perché il papa di Roma, per essere buono o virtuoso, dovrebbe aver bisogno di mag-giori rendite: “Che virtù è quella che per esercitarsi richiede tanta pompa e cose superflue?”
Non vale obiettare che quelli che occupano le posizioni più alte devono avere dei segni d’onore e dei simboli di potere che li distinguano. In primo luogo, ciò può essere utile solo per i governi deboli e precari che, incapaci di mantenere nei fatti la pace pubblica, sono costretti a sostituire con l’ostentazione dello sfarzo ciò che mancano di potere reale.
I grandi principi e gli stati che tengono in mare grandi flotte e in campo forti eserciti non hanno bisogno di simili stratagemmi, perché ciò che li rende temibili all’esterno non mancherà di dare loro sicurezza anche all’interno. In secondo luogo ciò che deve proteggere la vita in ogni società è la severità delle leggi. Tali ornamenti vistosi servono a stimolare, non a distogliere.
Ma ammettiamo pure che gli occhi della plebe debbano essere abbagliati con uno sfarzo esteriore: se la virtù fosse il massimo diletto degli uomini, perché dovrebbero dissipare anche per cose sot-tratte allo sguardo del pubblico, come i loro divertimenti privati. E’ evidente che ciò è un pretesto usato dagli uomini per nascondere la loro vanità, e soddisfare ogni appetito senza rimproveri.
Ci domandiamo, in conclusione, se dobbiamo essere così spietati da giudicare in base alle azioni degli uomini e dire che tutti mentono oppure dire, con Montagne, che essi immaginano di credere ciò che pure non credono.
Montagne diceva: “Alcuni ingannano gli altri, e vorrebbero si pensasse che credono a ciò a cui non credono, ma molti di più ingannano se stessi”. Ciò vuol dire fare di tutti gli uomini degli stupidi o degli impostori, e in tal senso Mandeville fa sua l’osservazione di Mr Bayle, secondo cui l’uomo è una creatura così incomprensibile da andare contro i suoi principi. E ciò, lungi dall’essere un insulto, è un complimento per la natura umana, perché dobbiamo dire o questo o di peggio.
Se si chiede a Mandeville dove cercare le qualità dei ministri descritte in dediche ed elogi egli risponde: lì e in nessun altro luogo. Come la statua, la bellezza è nella parte che si vede. Ciò lo ha portato spesso a paragonare le virtù dei grandi uomini a dei vasi cinesi: fanno una bella figura e si penserebbe che sono utili, ma se vi guardiamo dentro, troveremo solo polvere e ragnatele.

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