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La Favola delle Api - Invidia e vanità


(N) Perfino l’invidia e la vanità,
     servivano l’industria

L’invidia è quel tratto della nostra natura che ci fa soffrire a causa di ciò è una felicità per altri. Tutti gli uomini cedono a questa passione, ma nessuno osa ammetterne di esserne colpevole. Se in genere ci vergogniamo di questo vizio è a causa della consolidata abitudine all’ipocrisia.
Secondo Mandeville, l’invidia è un composto di dolore e d’ira; i suoi sintomi sono numerosi e difficili da descrivere. A volte si presenta sotto una forma, altre sotto una diversa. E’ possibile trovare tale facoltà nelle donne giovani e belle. Spesso si odiano mortalmente a prima vista solo per invidia.
Nella moltitudine rozza e ineducata l’invidia si presenta a viso aperto, soprattutto quando invidiano gli altri per i loro beni. Cercano di gettare cattiva luce anche sulle loro azioni più lodevoli, protestano contro la provvidenza, e si lamentano ad alta voce che le cose buone del mondo siano godute da chi non lo merita. I più grossolani ne sono spesso presi con tanta violenza che, se non fossero trattenuti dalla paura delle leggi, affronterebbero e picchierebbero quelli che invidiano.

Gli uomini di lettere che soffrono per invidia manifestano sintomi diversi. Quando indiziano qualcuno per i suoi talenti, la loro prima preoccupazione è nascondere la loro debolezza. Esaminano con attenzione le sue opere e cercano soltanto gli errori; nelle loro critiche sono severi.
Il ragazzo che riceve un premio per avere avuto i migliori risultati è consapevole di quale afflizione sarebbe stata per lui il non riceverlo. Tale pensiero lo induce ad impegnarsi, e quanto maggiore è il suo orgoglio, tanto maggiori saranno le rinunce che affronterà per difendere la sua vittoria.

L’altro, che nonostante le pene ha mancato il premio, se ne dispiace, e prova ira. Ma manifestarla sarebbe ridicolo, quindi deve adattarsi ad essere stimato meno dell’altro ragazzo, oppure, cerca di risultati migliori dei suoi. Con ogni probabilità, il ragazzo disinteressato, di buon carattere e pacifico sceglierà la prima alternativa e diverrà indolente e apatico, mentre il mascalzone ambizioso si sottoporrà a pene incredibili e finirà a sua volta per vincere.
Un gentiluomo elegante insudiciato da una carrozza è oggetto di riso, e lo è per i suoi inferiori molto più che per i suoi pari, perché lo invidiano di più. Di fronte alle disgrazie ridiamo di coloro cui capitano, o ne proviamo pietà, a seconda di quanta malizia o compassione possediamo. Tuttavia nessuno è così selvaggio da non poter mosso in nessun caso dalla compassione, e nessuno così buono da non avere mai provato il piacere della malizia.

L’ostracismo dei greci spesso era impiegato per sacrificare uomini vittime di invidie: una vittima di stato placa il malcontento di una nazione, la malizia del popolo trova massima soddisfazione nel vedere umiliato un grand’uomo. Noi crediamo di volere la giustizia, ma se degli uomini occupano a lungo i posti d’onore, metà di noi si stanca di loro; cerchiamo allora le loro colpe, e se non ne tro-viamo, pensiamo che le nascondano. Gli uomini migliori dovrebbero temere tale comportamento.
Quanto più una passione è un composto di molte altre, tanto più è difficile definirla. Così, la gelosia è fatta ad esempio di amore, speranza e molta invidia. Sperare significa desiderare con una certa fiducia che la cosa desiderata si realizzi. La forza o la debolezza della nostra speranza dipende per intero dal grado maggiore o minore della nostra fiducia, e ogni speranza implica il dubbio: quando la nostra fiducia è tale da escludere ogni dubbio, diviene certezza.

Amore significa, in primo luogo, affetto come quello dei genitori per i bambini, e consiste nel volere il bene della persona amata. In secondo luogo, intendiamo una forte inclinazione fra persone di sesso diverso. E’ in questo significato che l’amore entra nella composizione della gelosia.
Questo impulso, nelle persone di moralità rigorosa, spesso agita il corpo per lungo tempo prima che venga riconosciuto per quello che è. Ciò rileva la differenza fra l’uomo nello stato selvaggio di natura e nella società civile. Nel primo uomini e donne, rimasti rozzi e ignari delle buone maniere, troverebbero subito la causa del disturbo e vi porrebbero rimedio.

Ma nella società, in cui si devono obbedire le regole della religione e della decenza prima che i dettami della natura, i giovani di entrambi i sessi devono essere fortificati contro tale impulso. L’appetito va soffocato con cura e con inflessibilità, e da parte delle donne negato del tutto.
La forza dell’educazione è tale che a volte delle persone si innamorano senza alcun desiderio carnale; ma molte sono quelle le cui pretese di spiritualità si reggono solo sulla dissimulazione.
Quello che chiamiamo amore dunque non è appetito genuino ma piuttosto un composto, la riunione di diverse passioni contraddittorie in una. Esso è un prodotto della natura deformata dal costume e dall’educazione, e la sua vera origine è soffocata nelle persone bene educate.

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