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Convenzione ONU (1989)


Il tema dei diritti dei bambini e dei ragazzi si afferma in tutta la sua portata, anche se viene criticata da alcuni autori che la definiscono solo una dichiarazione di intenti senza portare ad una realtà concreta. Fin dagli esordi, apparve funzionale separare la quotidianità dei minori da quella del mondo adulto,e questa scelta ha investito soprattutto l’istituzione scolastica. In ogni servizio educativo gli spazi sono organizzati in modo tale da rendere bambini e ragazzi sempre facilmente localizzabili in ognuno dei loro movimenti, e stessa cosa accade per i tempi e per i rituali. L’adulto è spesso portato ad associare la qualità del servizio alle proposte attuate, che portano ad una gestione dei corpi. La scelta si ‘segregare’ sembra far emergere due compartimenti sociali ben distinti: quello debole e improduttivo dei minori che vengono addestrati alla vita adulta, e il compartimento di chi è già adulto, considerato come soggetto maturo e produttivo.
Nella definizione della qualità di un servizio sono in gioco dimensioni valoriali e riferimenti a precisi standard. Tale qualità è legata alle specifiche cornici contestuali entro le quali il servizio si inscrive e non è intesa in senso assoluto ma come insieme di tratti che si modificano nel tempo e comportano dei cambiamenti di atteggiamenti, conoscenze e competenze. Un primo punto di valutazione della qualità è dato dalla dimensione strutturale del servizio (orari del servizio, numero educatori/utenti ecc), ma ciò non basta: si deve guardare alla qualità percepita anche se è di difficile valutazione. Chi valuta spesso non è l’utente vero e proprio ma la sua famiglia, che vi investe una serie di aspettative più o meno visibili. Una immagine ricorrente ai nostri giorni è quella che porta ad identificare un buon servizio con la quantità di attività e proposte offerte. Spesso, la centratura sul fare è una precondizione per poter ‘vendere’ meglio il servizio stesso. Ma il fare ha senso solo se contestualizzato in un pensiero educativo più generale dove ogni attività si configura come tassello di un quadro più ampio. Spesso, però, questo messaggio non è spiegato ai genitori che quindi spesso giudicano positive anche delle proposte che non lo sono dal punto di vista educativo.

Tratto da IL LAVORO PEDAGOGICO NEI SERVIZI EDUCATIVI di Adriana Morganti
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