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Antigone in Alfieri

La tragedia risale al 1782. Sfuma la cornice dell’illuminismo, si avvia il Romanticismo. Alfieri, come tutti gi autori del tempo, si muove molto bene nella mitologia. Nel 1729 era stata pubblicata un’Antigone in italiano, nel 1772-73 c’era stata quella del Werther di Goethe.

Nell’elenco dei personaggi vediamo l’introduzione di un nuovo elemento femminile: Argia, la moglie di Polinice.
La figura di Creonte opera, in Alfieri, sempre a favore del figlio Emone, c’è un legame molto forte tra padre e figlio. Emone anche qui ama Antigone, ma non ne è ricambiato.
È una figura più complessa. Alfieri è l’autore della libertà, quindi Creonte è il tiranno per eccellenza, organizzando ad hoc una trappola contro Antigone, vista come possibile rivale al trono destinato al figlio.
Di Antigone si accentua la pietà filiale, ma più affinata che in Sofocle. Anche EMone è molto attaccato al padre, e Antigone sorregge questo sentimento anche se odia Creonte.

Il personaggio di Argia è importante perché fa scivolare Antigone in ombra. Ha un figlio, il frutto di Polinice. Ha dunque qualcosa in più rispetto ad Antigone, che è sola. Di nuovo compare un ragionamento sul diritto di famiglia, anche a livello patrimoniale.
Argia è figlia di Adrasto, re di Argo: torna per seppellire il marito. È una figura moto determinata nella sua missione coniugale, e consapevole di avere la precedenza sulla sorella di Polinice.
Man mano aumenta la consonanza tra le due donne, anche attraverso la voce: Argia riconosce in Antigone la voce di Polinice. Le figure femminili sono caratterizzate dal tremore, anche se alla fine persino Creonte tremerà.

Creonte viene definito tumido, come se fosse già invischiato in cose che non lo competono. C’è un riferimento al culto latino dei morti, per cui bisognava seppellire il defunto entro il settimo giorno.
GIocasta si uccide con la spada di Eteocle sfilandola dal corpo di Polinice: un unico oggetto unisce simbolicamente i tre corpi. Nella ricostruzione di Alfieri Edipo è ancora vivo, Antigone se ne prende cura, in una forte relazione di affetto con il padre.
Poi Edipo viene cacciato da Creonte, e da qui nasce l’odio della figlia verso il tiranno.
Alfieri indaga molto sul senso della tomba, sul senso del riunirsi sulla tomba: le due donne si contendono il morto, l’atto si chiude con una nuova consonanza tra le due – “sommessamente piangeremo”-. C’è qui un triangolo filadelfico al femminile.
Nel II atto entra Creonte, ed Emone chiede al padre di revocare l’editto. Si parla di volgo, manca Tiresia, è tutto volto in una dimensione laica. Antigone e Argia compaiono in catena, Emone cerca di calmare il padre con la scusa che sono donne.

Anche in Alfieri compare l’ego di Antigone, che ripete “io” più volte, anche per salvare Argia, che si presenta subito come figlia di re. Vogliono morire insieme, ma Creonte le divide. È la sequenza opposta a Racine, Alfieri segue più Sofocle. Emone è trascinato ala morte per Antigone, e non viceversa.
Creonte svela al figlio la sua trappola, con atteggiamento paternalista. Emone dichiara di amare entrambi, il gioco dei sentimenti si fa complicato. Creonte pensa di sistemare la cosa facendo sposare i due giovani, ma Antigone non può amare il figlio di chi le ha cacciato il padre. Emone vive del suo sentimento, si accontenta di poterla amare e riconosce il primato etico di seppellire il fratello. Dice infatti che sa che Antigone sceglierà la morte, che rimarrà fedele ai suoi.
C’è sempre un atteggiamento rispettoso di Emone nei confronti del padre. Emone si offre come capro espiatorio, capisce lo sdegno del padre e il rifiuto di Antigone: c’è un agrande attenzione al rapporto filiale.

IV atto: elemento preromantico: la morte non è la fine, è qualcosa con cui ci si confronta, il momento di autonomia etica. Concezione della morte: ci sono diversi modi di far morire la vittima. Sofocle aveva parlato di lapidazione, che ha qualcosa di pubblico, poi per la chiusura in un grotta. Diviso tra una fora d cancellazione dell’immagine e l’esposizione al pubblico.
Emone ricatta il padre minacciando di togliersi la vita. Creonte allora cambia parere, non esponendo più Antigone al pubblico ma seppellendola viva.
Durante questo dialogo Antigone sospinge Emone verso il padre, rifiutando la sua difesa. L’ultima sciagura per lei sarebbe proprio sospingerlo contro Creonte.
Emone si rivolta contro il tiranno, che si contrappone alla paternità: per Emone Creonte non può amare. Antigone non sopporta questa situazione, dicendo di odiare Emone perché viene meno all’unico dovere si un figlio, di amare il padre qualunque esso sia.

Creonte ha una componente machiavellica: non può uccidere Argia per non scontrarsi con Argo: decide allora di mandarla a casa con le ceneri di Polinice. Le due si salutano, c’è una scena lirica, con Antigone commossa alla vista dell’urna, ma Creonte le fa strappare dall’abbraccio.
Nell’ultima scena si vede il corpo di Antigone morta ed Emone, distaccato ormai dal padre che si uccide. Forte messaggio politico, si rivolge al pubblico dicendo che vuole essere vicino ad Antigone: è parallelo a Sofocle.
Creonte fino alla fine inchioda Emone nel suo essere figlio, è il padre padrone chenon vuole lasciare la preda.
Alfieri accentua molto la solitudine di Antigone: la libertà non può essere conquistata se non a prezzo della solitudine.

Tratto da IL MITO DI ANTIGONE di Federica Maltese
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