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Nascita della nazione del Rio Grande do Sul e del mito di Garibaldi

La partecipazione alla rivoluzione farroupilha è valsa a Garibaldi il novero tra i patres patriae dello stato del Rio Grande do Sul. Questo è avvenuto nonostante, come abbiamo visto, le sue imprese siano state tutt'altro che vittoriose e nonostante nella versione ufficiale della sua storia vi siano diversi episodi contestabili e tuttora contestati da molti storici.
Secondo gli studiosi brasiliani Cíntia Vieira Souto e Alvaro Bischoff, quando Garibaldi lasciò il Brasile, nel 1841, «era praticamente uno sconosciuto. La sua partecipazione alla rivoluzione farroupilha, infatti, fu assai poco incisiva». Ma anche abbracciando la versione più condivisa, secondo la quale durante la rivoluzione il nome di Garibaldi sarebbe circolato nel Rio Grande e a Rio de Janeiro attraverso la stampa, certamente non possiamo pensare che ciò da solo giustifichi il culto della personalità sviluppatosi intorno alla figura del comandante. 
Molti studiosi attribuiscono la creazione del mito alla massiccia emigrazione italiana, iniziata nel 1875: questo fenomeno però da solo non spiega come il culto possa essere radicato anche al di fuori della comunità dei nostri connazionali, sebbene abbia certamente contribuito alla sua diffusione.
Sembra più convincente la tesi della studiosa Anna Boldrini, che contestualizza il mito brasiliano di Garibaldi nel più ampio processo culturale di ricerca di identità del Rio Grande, iniziato nella seconda metà dell'Ottocento. In questo periodo nella regione nascevano infatti contemporaneamente un forte senso di appartenenza al paese Brasile, anche grazie al contributo dato dai gauchos alle guerre contro Rosas nel 1851 e quella contro il Paraguay del 1864-70, sia un sentimento localista. «L'integrazione culturale del Rio Grande con il resto del Brasile si concretizzò soltanto quando il gaucho, irrigimentato nella cavalleria brasiliana, contribuì attivamente alla difesa nazionale […]. Fu proprio nel momento in cui si inserì nella più ampia realtà brasiliana che la provincia necessitò di una propria definizione e di una ricerca di caratteri nei quali riconoscersi e farsi riconoscere dal resto del paese».
E la letteratura ebbe un ruolo fondamentale nella creazione dell'identità riograndese. Negli anni intorno al 1870 gli scrittori che si riunirono intorno alla Sociedade do Parthenon Literário,  primo tentativo di riunire l'intelligencija riograndese liberale in un movimento culturale identitario, inaugurarono il filone della letteratura cosiddetta gauchesca, il cui tema prediletto era appunto il gaucho, nella sua versione romantica di cavaliere senza macchia e senza paura. Nel mito gauchesco, la narrazione delle gesta e delle qualità eroiche dei mandriani della pampa diventa quindi una narrazione della propria tradizione e della propria storia: «il mito del gaucho rappresentò […] un raccontare per raccontarsi al resto del Brasile».
Nel processo di costruzione identitaria, l'intelligencija riograndese reinterpretò quindi la guerra dos farrapos come l'eroica rivoluzione dei gauchos. E proprio all'interno del mito della rivoluzione si innesta quello di Garibaldi che, nella letteratura gauchesca, arriva già con i suoi attributi europei e romantici. Per Boldrini «Garibaldi “tornò” in Brasile dopo aver subito dal Risorgimento italiano e dal Romanticismo europeo la trasfigurazione mitica che aveva fatto di lui il condottiero liberatore, predestinato alla gloria universale, l'eroe cosmopolitamente votato alla libertà di tutti i popoli oppressi. Tutto ciò nel Rio Grande dovette alimentare la memoria della presenza sul proprio territorio di quell'ex corsaro che oramai tutto il mondo acclamava come un eroe, conferendo evidentemente dignità alla guerra dos farrapos, la guerra degli straccioni». 
Nella letteratura gauchesca il mito di Garibaldi viene narrato attraverso una serie di episodi che si ripete in tutte le narrazioni: dal trasporto dei lancioni via terra al naufragio della Farroupilha, dallo scontro del Galpón de Xarqueada al colpo di fulmine per Anita, dal Garibaldi che beve mate, a quello che canta romanze italiane e non sa cavalcare. Questo avviene a partire dalla novella O Vaqueano di Apolinário Porto Alegre, che inaugura il filone, e prosegue poi in tutta la produzione letteraria gauchesca del Novecento.
I motivi ricorrenti nel discorso narrativo su Garibaldi, sia nelle biografie (spesso agiografie) europee che nella letteratura gauchesca, corrispondono, come sostiene il semiologo Omar Calabrese, ai tòpoi del romanzo storico-avventuroso: il combattimento in condizioni di inferiorità, la fuga, il ferimento, la prigionia, il sacrificio supremo (come nel caso dell'incendio delle navi a Laguna). Per la selezione di questi elementi non si può non riferirsi alle Memorie che Garibaldi stesso scrisse durante la sua vita: fu lui il primo a darsi una dimensione narrativa, a definire la trama della storia del suo personaggio eroico, a scegliere quindi i motivi letterari del suo mito. E a questa operazione contribuì certamente anche l'amico scrittore Alexandre Dumas (autore de I tre moschettieri), che, nel tradurre le Memorie, le rielaborò ulteriormente in chiave romanzesca.
A un'immutabilità caratteriale e narrativa, nella letteratura gauchesca su Garibaldi si accosta poi anche un'immutabilità iconografica dell'eroe: gli occhi azzurri (che poi azzurri non erano), la barba, il poncho, il cavallo. Ed è molto curioso constatare come l'iconografia garibaldina sia stata confezionata in Europa proprio a partire da elementi che Garibaldi assimilò in America Latina (come il poncho o il cavallo, nonostante lui sia stato innanzitutto marinaio!) e poi riesportata nel Rio Grande, dove in un certo senso aveva avuto origine. Ma, ironia della sorte, per l'immaginario collettivo riograndese Garibaldi non sarà mai un grande cavallerizzo: mentre il mito europeo lo dipinge condottiero su splendidi cavalli bianchi, la letteratura brasiliana lo descrive soprattutto corsaro o tenente della marina, tralasciando i suoi combattimenti terrestri. Addirittura, le quartine della poesia popolare riograndese lo descrivono come goffo cavaliere di ronzini scansafatiche, che lo costringono spesso ad andare a piedi… 


Tratto da IL MITO DI GARIBALDI NEL RIO GRANDE DO SUL di Isabella Baricchi
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