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Lo humor


Lo humor parte da un’incongruenza cognitiva, da un dire una cosa e intenderne un’altra, che sorprende il pubblico senza ferirlo e così facendo diverte e genera emozioni.
L’incongruenza può essere grossolana e allora genera solo comicità. Lo spettatore guarda, ride e non pone attenzione (commedia all’italiana).
L’incongruenza invece può essere sofisticata e allora si genera ironia. Lo spettatore guarda, è coinvolto come in un puzzle, si crea delle aspettative su ciò che vede e poi viene gabbato e sorpreso perché il significato è un altro. Ciò genera coinvolgimento.
[sandali aperti: andate in giro in topless. Incongruenza tra aperto e coperto del seno e delle scarpe oscilla tra reale e surreale e crea ironia, simpatia]
[calvo e senza denti devi vestirti bene. Abbigliamento per bambini. Incongruenza tra bambino e anziano.]
[chi mi ama mi segua sul culo dei jeans Jesus. Ironia tra sacro e profano]
[vi voliamo bene. Incongruenza lessicale volere volare]
[Lavazza con san pietro e bonolis. Ironia tra sacro e profano.]

La pubblicità dicevano i grandi big reeves e ogilvy deve vendere, non divertire. E le tendenze confermano. L’ironia andrebbe bene solo per i prodotti a nord ovest (feel learn do) e a sud est (do learn feel) del modello di vaughn.
Altri svantaggi derivano dall’abuso dell’ironia che ne impedisce la decodifica o l’eccessiva banalità che traduce la comicità in roba da quattro soldi che genera rifiuto o odio (vigorsol e lo scoiattolo).
In più il soft selling richiede tempo e l’ironia può diventare in questo tempo fastidiosa e pedante.
Infine se la marca è globale è difficile che l’ironia su determinati argomenti sia identica in tutti i paesi del mondo. Si rischia di generare totale incomprensione a meno che l’argomento non sia globale come l’aids.
[Levis farmacista-droghiere e padre della ragazza]

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