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Umanesimo e politica

La tradizione medievale
Considerare il Medioevo un blocco di tenebre e pregiudizi, dominato da un'autorità teologica costrittiva che discredita e reprime ogni altro ideale culturale e politico, è semplicistico poiché esso presenta grandi profondità di pensiero ed è ricco di fermenti che già preparano motivi propri dell'Umanesimo e del Rinascimento. Inoltre non si può dire che la tradizione aristotelico-tomistica sia stata l'unico punto di riferimento intellettuale: Duns Scoto, Marsilio da Padova e Guglielmo d'Ockham, infatti, hanno introdotto nel campo del sapere elementi volontaristici ed individualistici e hanno consentito la difesa della razionalità umana anche rispetto ai valori della trascendenza. Si può affermare che il Medioevo è attraversato da profonde tensioni e dilacerazioni e la cultura medievale ha cercato di dare sicurezza simbolica ad un mondo insicuro.

Il razionalismo teologico

Le stratificazioni storiche e culturali del Medioevo non smentiscono tuttavia il valore di centralità che in esso assumeva la trascendenza e la visione organica della comunità religiosa e mondana; quella medievale è essenzialmente una conoscenza teologale ed anche l'ordine politico si costituisce e si spiega in funzione di principi teocratici. Per quanto vasti fossero gli ambiti della sua applicazione, la ragione umana non poteva smentire la sua subordinazione alla fede e si sentiva soprattutto impegnata a scoprire ciò che si credeva munito di un intrinseco valore oggettivo. Nella conoscenza medievale i testi sacri erano considerati deposito della verità e non era immaginabile un disaccordo tra fede e ragione; ogni scienza dell'uomo appariva soprattutto scienza del rapporto tra uomo e verità divina. La stessa cosa vale per il concetto medievale di realismo: esso non aveva un significato di conoscenza per tentativi e di verificabilità di situazioni empiricamente determinate ma era connesso al convincimento che gli universali fossero delle realtà e non delle immaginazioni e che dovessero condizionare il sapere e costituire insieme le fondamentali connessioni dell'ordine politico. A questo intendimento del realismo si contrapponeva il nominalismo, quella corrente di pensiero rappresentata soprattutto da Duns Scoto e Guglielmo d'Ockham, che assecondava: -nel campo morale e conoscitivo il soggettivismo; -nel campo politico la separazione del potere temporale da quello spirituale; -nel campo giuridico il positivismo, cioè l'idea che la legge è posta da un atto della volontà. Il tema della esistenzialità è ben conosciuto nella religiosità medievale, soprattutto nella patristica.
Le "Confessioni" di S. Agostino sono la più alta espressione di un orientamento spirituale in cui l'individuo assume in prima persona il problema della sua salvezza senza demandarlo integralmente a tutele esterne istituzionalmente. Ciò non implica tuttavia una libera e spregiudicata analisi di sé, nella ricerca di una verità da ritrovare in interiore homine come una verità umana: Agostino vuole che l'uomo analizzi se stesso non perché la soggettività è diventata l'oggetto più importante del suo conoscere ma per comprendere quanto vulnerabile sia la sua natura e quanto condizionante il problema del male, della finitezza e caduta dell'uomo. Il termine stesso "confessione" sta ad indicare non soltanto la sincera manifestazione di un proprio pensiero interiore ma, soprattutto, il dovere del penitente di porsi al cospetto di una verità divina che ispira e che sovrasta la sua stessa confessione. Questa confessione deve avere un esito ed attraverso di essa l'uomo deve sapere a che cosa ricongiungersi e come situarsi nel mondo spirituale. La confessione esistenziale, così configurata, è tenuta a negare, come inammissibile atto di superbia, ogni pretesa umana di autonomia spirituale e critica dell'individuo rispetto al suo creatore. Nel Medioevo anche il misticismo era tenuto a bada dalla vigilanza del razionalismo teocratico che lo consentiva ma non ne voleva uno sviluppo tale da portare ad una soggettivizzazione della fede e della realtà. Considerazioni analoghe possono farsi anche a proposito del concetto di persona umana come elaborato del pensiero teologico e politico di S.Tommaso. Tale personalismo vuole riaffermare la dignità dell'uomo come appartenenza ad una catena degli esseri, come immedesimazione in una gerarchia dei valori; la persona umana deve includersi in un ordinamento che preesiste all'uomo ed occuparvi il posto che le spetta. Il Medioevo è preoccupato di proteggere questa idea emergente di persona entro un sistema di verità ontologiche, mentre l'Umanesimo fa valere una diversa armonia tra l'uomo ed il cosmo, una diversa alleanza fra l'individuo e la divinità, riconoscendo alla ricerca autonoma della coscienza soggettiva un suo proprio significato universale.

Ordine politico e diritto naturale
Il giusnaturalismo medievale presume che vi siano anche nel mondo politico regole normative sottratte alla umana competenza perché volute direttamente da Dio. In questa prospettiva la legge di natura non è soltanto espressione di imperativi morali scritti nel cuore dell'uomo, ma si riferisce anche a dei rapporti di gerarchia che devono sussistere fra le diverse comunità e fra i diversi elementi costitutivi dell'ordine sociale. Tutto questo configura un'idea di ordine sociale che non concede molto ai poteri critici ed innovativi della libertà umana e che predilige invece stabili assegnazioni e preventivate spartizioni di status e di funzioni.
Ambizione del giusnaturalismo medievale è anche quella di rappresentare un principio di legalità da opporre all'arbitrio del potere politico; al rispetto della legge di natura è infatti obbligata anche l'autorità che deve essere sempre condizionata e controllata da vincoli etici e giuridici oggettivamente validi. Si può così parlare di un costituzionalismo medievale, fondato sul presupposto che la iurisdictio, cioè la legalità naturale, ha una sovranità superiore a quella del gubernaculum, cioè dell'attività potestativa. Questo giusnaturalismo sfocia in una visione organicistica e corporativa della società in cui le comunità feudali precedono gli individui e dominano le parti componenti. Religione, politica, economia, morale si trovano in uno stato di reciproca compenetrazione e costituiscono totalità armoniche, cooperanti solidalmente al bene comune. Questi principi di legalità sono tuttavia sempre esposti agli urti ed alle prevaricazioni del potere. Le essenze qualitative delle leggi di natura non si affermano da sole, non si ordinano per impulso spontaneo; occorre che qualcuno le scopra, le interpreti e le faccia valere e l'autorità ha in questo un ruolo privilegiato. Perciò l'essenzialismo politico medievale può conciliarsi con una visione autoritaria della politica. Alla stabilità simbolica del Medioevo non corrisponde una stabilità reale, sempre minacciata dai particolarismi feudali e da condizioni di insicurezza personale, sociale ed economica. Ciò che fa apparire stabile l'ordine medievale è l'assenza di alternative; tutto sembra dominato da una legge di necessità cosmica, così la critica e la contestazione diventano solo oggetto di repressione.

La libertà umanistica

L'Umanesimo muta queste prospettive culturali del Medioevo. Esso accerta ed insieme promuove una decomposizione dell'universo come ordinatio ad unum, in cui ogni vita umana è intesa come una ascesi culminante nella inclusione in un cosmo entificato. A questa visione l'Umanesimo sostituisce l'idea che ogni vita abbia in sé una sua ragione, legittimata dall'esistenza concreta di ciascuno. Si può dire che l'Umanesimo nasce con una certa coscienza del valore morale della separatezza, vista come condizione attraverso la quale il soggetto, riflettendo su se stesso, assume migliore cognizione della propria umanità e di quella degli altri. Nell'Umanesimo vi è un'idea di partecipazione connessa all'idea dell'umanità e della filantropia. Tutto questo, però, deve essere preparato da un affinamento della coscienza personale, possibile se ciascuno assume coscienza della propria dignità, la quale non deriva solo dall'adesione dell'uomo a dei valori eterni ma soprattutto dal fatto che l'individuo si assume la responsabilità della propria realizzazione umana. Nel farsi libero dell'uomo emerge quel senso della virtù che non è, come l'intenderà Machiavelli, forza ed astuzia ma bontà feconda ed operosa. Virtù umana è saper reggere le proprie responsabilità, elevando a nuova dignità il lavoro, fondamento di quelle "buone e sante discipline del vivere" con le quali si riesce a padroneggiare la fortuna ed a regolare i condizionamenti esterni. La vita dell'uomo diventa dunque nell'Umanesimo il principale oggetto della conoscenza umana e prelude ad una valorizzazione dell'umano ovunque esso si manifesti. L'Umanesimo sente l'insufficienza di quelle litterae divinae, cioè di quella cultura puramente teologica e teocratica che dominava la grammatica, l'etica, la retorica, la filosofia ed il sapere naturalistico e che pretendeva di tradurre i valori assoluti della trascendenza in ordine politico ed in gerarchie sociali. Il distacco dalla religiosità medievale non significa tuttavia discredito dei valori religiosi; è piuttosto esigenza di svincolare la fede dalle costrizioni e dagli anatemi e renderla più pacata, rasserenata, meglio conciliata con le vocazioni di coscienze personali aperte e tolleranti. L'uomo dell'Umanesimo si considera munito di quel coraggio teorico e pratico necessario a controllare gli impulsi inferiori e le passioni devastatrici. Spetta all'uomo continuare nella storia, con le sue risorse spirituali e pratiche, la creazione di Dio; aspirazione questa che non è distruzione o disprezzo del legame con la divinità ma fondamento di una nuova alleanza fra il mondo e la trascendenza. L'Umanesimo non ha paura che l'uomo si esprima attraverso personali valutazioni critiche e scelte morali; questo è anche il significato dell'arte figurativa dell'Umanesimo e del Rinascimento. L'uomo non è più l'essere che si nasconde quasi per non far vedere il suo volto umano, che si consuma nella penitenza, che guarda soltanto al suo destino celeste trascurando ed umiliando la dimensione terrena. L'uomo sa di esporsi, con il suo libero arbitrio, a tensioni e contraddizioni ma sa anche apprezzare l'intima ricchezza della sua condizione umana e vedere il dubbio e l'incostanza del suo pensare e del suo agire non più come limite inesorabile della sua finitezza ma come segno distintivo del suo valore. La cultura umanistica esalta la simmetria, la proporzione e l'armonia delle cose ma questi principi sono diversi da quelli che il Medioevo costruiva in riferimento ad essenze prestabilite. Nell'armonia umanistica la libertà non è strumento di peccato e munisce l'uomo di quel potere supplementare che è il potere della conoscenza sul pregiudizio, della responsabilità sull'irresponsabilità, della mediazione sull'immediatezza. Nella ricerca di questa armonia rientra la rivalutazione della vita mondana contro le negazioni dell'ascetismo. L'armonia dell'Umanesimo deve essere prima di tutto armonia dell'anima, risultante non dalla repressione di ciò che non corrisponde ad astratte misure di perfezione morale ma prodotto di una ragionevole composizione di spirito e natura, di spontaneità e di riflessione, di virtù e di passione. A sua volta questa simmetria che l'uomo realizza nel suo microcosmo spirituale è considerata carattere di tutto l'universo e questo universo può legittimamente diventare oggetto di una libera ricerca dell'intelligenza. Di qui una rinnovata competenza umana a penetrare i segreti della natura perché l'uomo è fatto della stessa materia con la quale è stato costruito il cosmo. Ciò spinge l'Umanesimo a prendere le distanze dalla tradizionale fisica di Aristotele, denunciata come matrice di conformismo intellettuale. Gli Umanisti sono invece più inclini a riscoprire ed a valorizzare Platone che, nel ‘400 e nel ‘500, veniva visto più che come filosofo del sistema chiuso, come l'antesignano di tutte le aperture critiche e di tutte le possibilità di intesa e di convergenza. Il naturalismo umanistico e rinascimentale ha certo delle componenti più ambigue, come la cabala e la magia, ma questi interessi derivano dalla presupposizione che Dio avesse disegnato l'universo attraverso proposizioni matematiche. Questo diverso intendimento della individualità e della natura modifica le idee del tempo e dello spazio: -il tempo diventa umano e può essere fatto proprio dagli individui che lo sappiano impiegare in attività positive; -lo spazio non è più inteso come porzione prestabilita del cosmo ma come luogo di convergenza di attività umane e perciò suscettibile di essere continuamente indagato e valorizzato. Lo spazio umanistico non è lo spazio chiuso del Medioevo; è uno spazio aperto che si può di continuo arricchire in senso culturale, sociale ed economico e, come l'uomo si educa a varcare le soglie della sua interiorità e a dilatare lo spazio della sua coscienza, così si educa a varcare spazi fisici e geografici prima sconosciuti per esplorarli e padroneggiarli.
Il ritorno umanistico alla cultura classica è da intendere come affinamento critico volto a smentire l'assolutismo e l'immobilismo della cultura medievale. Questo interesse per il passato non esprime l'atteggiamento retrogrado di un pensiero che, incapace di affrontare le sfide del presente, situa la sua età dell'oro in un tempo lontano. Non si tratta di una fuga dalla realtà ma di un atto di audacia intellettuale con il quale si riconosce che anche il mondo pagano sapeva dire cose significative sull'uomo, sulla sua libertà, sulla sua sapienza, sulla sua virtù, sulle sue leggi morali e politiche e con il quale si afferma che la divergenza delle opinioni e delle dottrine alimenta la libertà della coscienza e dell'intelligenza. Nel Medioevo il mondo classico veniva prevalentemente visto come preparazione al trionfo del Cristianesimo ed assumeva quindi una funzione strumentale. Si afferma con l'Umanesimo l'idea di una nuova scienza del passato in cui la filologia è chiamata a riportare alla luce quanti più materiali possibile, considerandoli nel loro giusto valore, interpretandoli per quello che dicono, liberandoli dalle manomissioni e deformazioni subite nei secoli, ripristinandoli nella loro autenticità, rinunziando a servirsene per fini estranei al sapere critico. L'Umanesimo con questo nuovo stile di pensiero e metodo di lavoro, che faceva della filologia il fondamento della conoscenza storica, non ritorna al passato per contrapporre valori antichi a quelli moderni ma per saggiare la qualità di ciascun valore nei propri tempi e nelle proprie situazioni, per ribadire la competenza dell'uomo a padroneggiare criticamente le sue esperienze temporali.

L'Umanesimo e lo stato
Il passaggio dall'universalismo teocratico al riconoscimento del valore delle autonomie individuali e il diverso intendimento del lavoro creativo che soppianta il simbolismo della vita ascetica, hanno certo una loro fondamentale incidenza anche nella concezione della politica e della vita civile. La libertà moderna è nata dall'Umanesimo e si appoggia sull'etica umanistica della dignità e della responsabilità personale. Si deve riconoscere, tuttavia, che alla grande stagione di vita culturale non ha corrisposto nell'Umanesimo un'altrettanto felice stagione di rinnovamento politico. Permane in esso una contraddizione non risolta fra lo splendore delle sue conquiste artistiche, filosofiche, scientifiche e gli aspri contrasti di sette e fazioni che degradavano la vita civile, specie in Italia. Il programma politico dell'Umanesimo non è stato all'altezza delle sue prospettive culturali. Nel periodo dell'Umanesimo si manifestano in Europa, ma non in Italia, profondi rivolgimenti politici dovuti al formarsi degli stati nazionali. Questi rivolgimenti sono più importanti in Francia ed in Spagna dove si assiste ad un progressivo accentramento della sovranità nella monarchia. Tutto ciò che la monarchia in quei paesi ha conquistato attraverso scambi di carattere feudale viene trasformato ed assume i caratteri di una sovranità personificata dallo Stato, istituzione politica sconosciuta nel Medioevo. Lo Stato diventa il rapporto politico dominante e mette in posizione di dipendenza e di derivazione l'insieme degli altri rapporti e delle altre lealtà sociali. Questo fenomeno non si manifesta in Italia che rimane divisa in diverse entità politiche rivali, in grado di porsi reciprocamente dei veti ma non di costituire quella autorità comune necessaria per opporsi alle invasioni e dominazioni straniere e per suscitare una coscienza nazionale.

La cultura e la politica
Nel dibattito sulla superiorità della vita attiva o di quella contemplativa la maggior parte degli Umanisti sostenne la superiorità etica del vivere civile ed i vantaggi della sintesi fra attività politica ed attività del pensiero. Non mancano comunque degli Umanisti che, pur avendo parte attiva nella vita civile, sembrano volersi ritrarre da compromissori politiche troppo impegnative. Così Leon Battista Alberti vede la virtù, per il suo tempo, connessa soprattutto alla cura degli affari domestici: meglio garantirsi una sfera di vita relativamente appartata in cui coltivare il proprio otium o il proprio negotium senza interferenze troppo pressanti da parte del potere e senza partecipazioni troppo attive alle lotte delle fazioni. Esaltazione dell'operosità, vista però al servizio di intraprese economiche in grado di accrescere il patrimonio familiare e con esso le opportunità di una vita più agiata e relativamente al di fuori di più rischiose occupazioni politiche. Sembra così che l'Umanesimo fermi le sue capacità di rinnovamento alle soglie del potere e che, non disponendo di strumenti adatti a modificarlo, si volga ad altre attività sociali ed economiche più facilmente padroneggiabili. Chi penetra negli arcana imperii e modifica radicalmente l'intendimento della fenomenicità politica è Machiavelli ma la sua analisi realistica è improntata ad un pessimismo antropologico che non può certo considerarsi la sintesi dei valori umanistici. Vi è però un altro filone dell'Umanesimo, non particolarmente presente in Italia, che si sente impegnato a trasferire nella politica quei danni umani ed esistenziali scoperti e valorizzati in altri campi del sapere e dell'agire umano. Per alcuni autori (Erasmo da Rotterdam, Thomas More) la Renascentia non deve rimanere solo un fatto di cultura ma deve esercitare anche nei confronti del mondo politico la sua funzione critica e di orientamento ideale.

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