Skip to content

Verba volant non semper


Quello che siamo soliti definire come "tradizione orale" è un insieme di forme espressive diverse per contenuto e per contestualizzazione. Esistono testimonianze collettive ripetute pubblicamente davanti a un gruppo di persone, dove dovrà essere esposta con criteri e modi condivisi da tutti i presenti, dando una sorta di versione ufficiale del fatto narrato: queste saranno suscettibili di distorsioni e adattamenti da parte di chi detiene il potere. Se la tradizione è patrimonio di un gruppo ristretto di persone, sacerdoti, stregoni, membri di una casta o di una società segreta, sarà probabilmente più precisa e fedele alla testimonianza iniziale dalla quale è nata.
Nella tradizione orale narratore e narrazione costituiscono una sorta di binomio inscindibile: il ruolo del narratore coincide spesso con un certo tipo di autorità, sia costituita che informale, data dalla parola. È questa che dà l’esatta dimensione sociale di chi parla e che ribadisce l’ordine strutturale della comunità.
L’espressione orale è però legata a una componente gestuale e perciò diventa teatrale. Il narratore non realizza il suo racconto solamente con le parole, ma dando vita a una performance gestuale, mimica e vocale tesa a sottolineare e a rendere più efficace la storia. La parola contribuisce a stabilire la gerarchia tra chi parla, ma anche tra oratori e pubblico, con un’importante funzione normativa.
Altra caratteristica delle società letterate è l’importanza dell’occhio rispetto agli altri sensi, mentre nelle società illetterate è la loro capacità mnemonica, grazie alla quale è possibile ricostruire avvenimenti lontani nel tempo, tramandati di generazione in generazione. L’espressione della memoria è spesso il frutto di un processo non solo personale, ma anche collettivo e sociale, e in ogni caso la memoria opera anche la rimozione, dimenticando o tralasciando gli episodi più tristi della propria storia. Se dalle fonti scritte è semplice ricostruire la sequenza temporale dei fatti e collocare più o meno esattamente i periodi, dalle testimonianze orali emergono due dimensioni distinte del tempo e della sua percezione: da un lato la dimensione soggettiva, svincolata dagli avvenimenti storici e basata sui ritmi della propria famiglia e dei propri eventi personali, dall’altra il tempo collettivo, che ripropone dei dati che potremmo definire più oggettivi, condivisi da tutta la comunità e legittimati dalla tradizione.
Non sono solo i racconti a dare vita alla tradizione orale, ma anche i canti legati alle rispettive danze: ci sono canti per i giovani che devono essere iniziati, per gli adulti, canti legati a una professione. Esistono melodie che possono essere cantate solo quando si raggiunge l’età giusta: sottolinea l’importanza di tale forma di espressione, che contribuisce a riaffermare nelle occasioni pubbliche i diversi ruoli e la posizione di ogni individuo all’interno della struttura. Esistono anche canti di tipo storico, che rievocano eventi del passato, arricchiti continuamente con elementi della storia recente, diventando cronache. E poi ci sono i proverbi, la cui arte è praticata presso molte popolazioni: sintesi estrema di un concetto, serve per mettere in guardia e ammonire che trasgredisce le regole fondamentali sulle quali si basa la società. I proverbi fanno parte del linguaggio comune, e hanno il compito di fornire un tono di maggiore autorevolezza al discorso: richiamarsi al proverbio significa rifarsi alle parole degli anziani e degli antenati.

Tratto da IL PRIMO LIBRO DI ANTROPOLOGIA di Elisabetta Pintus
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.