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Il contro-sogno di Diane


La preminenza della prima parte del film sulla seconda si spiega col semplice fatto che le speranze di Diane, perduto il suo oggetto d’amore, si coniugano oramai solo al futuro passato. Così, ricostruire banalmente la fabula, derealizzando tutto quello che lo spettatore ha visto per la prima metà del film, significa non comprendere affatto come quel (contro)sogno sia un percorso di salvezza simbolica (una redenzione da condividere idealmente con l’amata) che ha il potere posizionale di reinterpretare e risemantizzare la propria archeologia esistenziale. Resta, in ogni caso, un’enorme nostalgia, che si nutre della stessa risonanza paradigmatica che il sogno esercita sulla vita vissuta; dei possibili esistenziali sono stati certamente perduti, ma non meno essi erano a portata di fato: un solo incidente, una sola variazione stucchevole di nome proprio, e forse tutto sarebbe potuto andare altrimenti.
Lo spettatore che mira a riconquistare il piano del presente è esattamente quello che Mulholland Dr. prende di mira, prima irretendolo dentro un rebus, poi ammonendolo per la fallacia di una banale ricerca ricostruttiva dell’accaduto. Il mondo non è in grado di autointerpretarsi, e noi parimenti in esso. La gestione del senso procede su tutta la diffrazione possibile dei piani della sua sperimentazione (ricordi, sogni, prefigurazioni, modelli stereotipici introiettati, ecc.) e la narrazione esistenziale è esattamente ciò che non si racconta monodimensionalmente, in una concatenazione discorsiva di stati e trasformazioni. La riunificazione onniesplicativa, il binario unico di una fabula come concatenazione di cause ed effetti, è esattamente ciò che Lynch vuole prendere di mira. I vuoti, le cecità narrative, le asimmetrie (ne abbiamo già scorte in Lost Highway), non vanno riempite né con proiezioni di soggettività elettiva, né con ricostruzioni causali esplicative: esse hanno uno statuto inescambiabile, nel senso che nulla può farne le veci e che nessuno può sostituirsi a chi ne fa diretta esperienza. Sono esattamente i punti ciechi che fanno di una vita un percorso di intermittenze di senso da gestire nel tempo. Il film stesso non è che un segmento d’esistenza dello spettatore, un segmento passibile di articolarsi efficacemente con arcipelaghi esperienziali aumentandorte il loro grado di connettività e di pregnanza differenziale. Il valere che ciascuno attribuisce al film non porta a dequalificare il compito di comprenderne il pattern compositivo, visto che quest’ultimo esemplifica, in abisso, una multilivellarità di gestione del senso simile a quella cui dobbiamo sempre corrispondere. In tal senso, la ricostruzione della fabula non è che un livello, spesso fuorviante e comunque riduzionistico, di una tessitura narrativa.

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