Skip to content

L’ambiguità dei toni enunciazionali


Sailor si limita a soggiungere un provocatorio “allora?”, tipico per segnalare, con tono da sbruffone, la sproporzione tra la minaccia accampata (il mandato omicida di Marietta) e la disinvoltura nello sbarazzarsene (l’uccisione del killer assoldato). Questo “allora?” demarca inoltre la consapevolezza di aver dato luogo a una sorta di esibizione in pubblico. Nell’additare Marietta con l’indice puntato in diagonale, rispetto al punto di vista dell’osservatore enunciazionale, e nel protendere obliquamente l’altro braccio fino ad appoggiarsi al muro, Sailor costruisce una sorta di triangolo dove il vertice che articola i cateti è ricoperto dalla sua testa: il triangolo è poi naturalmente obliquo rispetto al piano di visione e va dal basso verso l’alto. Tutta la sequenza si rivela in questo senso posta all’insegna dell’obliquità (si svolge tra i gradini di una scala); l’isotopia plastica e le relazioni figurativamente oblique tra tutti i personaggi in campo allestiscono una sorta di ragionamento figurale che pare esplicitare il carattere sghembo dello stesso posizionamento dell’enunciatario rispetto ai percorsi passionali dei personaggi che, in questo senso, non possono che apparirgli paradossali e incompartecipabili. Al regime di solidarizzazione tra passioni spettatoriali e passioni dei protagonisti, tipicamente innestato a fini di identificazione nella narratività cinematografica standard, Lynch sostituisce fin da subito l’idea di una diversificazione di posizioni: ad ogni personaggio il proprio “gradino”, la propria prospettiva sulla significazione degli eventi, la propria intensità nello sperimentarla.
Ecco che già in questa prima sequenza diegetica ci troviamo di fronte a una ambiguità dei toni enunciazionali, al punto che il contratto narrativo con il proprio spettatore sembra fin dall’inizio instabile, precario, persino “insottoscrivibile”. Non vi è alcuna rappresentazione catartica della violenza o comunque in qualche maniera sublimata, o deterritorializzata: si affonda fino a far emergere la carne, ossia la materia del corpo. Si profila allora una prima coerenza sul piano del lavorio sulle figure: l’impeto di un fuoco devastatore è indifferente alla materia, cosicché Sailor, neppure a lavoro compiuto, rimane perturbato dal sangue che gronda dalle sue mani, pronte invece a attizzare una sigaretta.
Se si vuole scorgere, quindi, dove infine vuole andare a parare il discorso del film nel presentare una scena di così efferata violenza, ci dobbiamo spostare:
a) sul piano dell’argomentazione figurativa; il fuoco interiore è indifferente a ciò che brucia, acceca perché diviene tutto il visibile, al punto che non c’è più alcuna pertinenza dei volti, delle facce: l’individuo è ridotto a testa, e né nella sua pelle, né nella sua memoria si mira più a iscrivere alcunché;
b) sul piano di una critica delle sensibilizzazioni spettatoriali normalmente attualizzate di fronte a un film; in particolare, le passioni di genere vengono fatte implodere, portando la rappresentazione fino a un punto di incandescenza, normalmente vietato a chi si vuole iscrivere all’interno di una classe genealogica di opere: Wild at heart è un film sui generi(s) del tutto inclassificabile.

Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo riassunto in versione integrale.