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Progettare la solennità

Progettare la solennità


In questa sequenza Merrick ricicla del materiale per costruire un modello in miniatura della cattedrale di Saint Philip che vede dalla finestra, anche se solo in parte; deve perciò completarla con l’immaginazione - come spiegherà all’attrice Kendall, durante la sua prima visita. L’imperfezione della sua “vita sociale” (tutto sommato resta un recluso) e della cura che gli viene impartita (chiede a Treves se questi potrà guarirlo) necessita una qualche sutura tra effettività delle concessioni e ambizioni. Queste ultime si esplicano, in modo simbolico, nella volontà di poter dormire come gli altri - desiderio direttamente confessato a Treves e costantemente riattualizzato da un disegno presente nella sua camera.
Il paradosso è molto chiaro: ci si premura che il mostro non possa pervenire ad una autorappresentazione attestativa, ma non si contempla nemmeno l’idea che egli possa aspirare a un’immagine di sé dialogica con quella delle persone “normali”. Ecco allora che il film, piuttosto che correre sul crinale scosceso del patetico, con il rischio continuo di (s)cadervi, si offre piuttosto come un’indagine sintomatologica della percezione culturalizzata del mostro come costitutivamente patetico non appena questi aspiri a una immagine dialogica: figuriamoci poi se la modulazione dei tratti mostruosi miri a significare, con gli orridi mezzi che possiede, dignità o persino nobiltà. Per Merrick, la ricostruzione dell’immagine della cattedrale è equivalente e nel contempo sostitutiva della modulazione della propria immagine affinché essa possa assurgere a una sorta di solennità.
L’isotopia che discende dalla scelta del salmo 23, passando per il gusto per la recitazione austera, 1’amore per la formalità, l’attenzione alla compostezza, fino alla dedizione nella ricostruzione della cattedrale è proprio quella della solennità. Qualcosa dell’estetica del film riflette l’estetica personale di Merrick; non si tratta di inseguire un’iperestesia attivata dal terrore, né un perturbamento viscerale garantito dall’horror. Piuttosto si mira a celebrare il mostro in una liturgia dell’orrore che ne consenta un’espiazione su un piano trascendente: c’è un altro mondo che corregge i riflessi di ciascuno e li riassegna, reinterpretando le identità scambievolmente.

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