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Dall’indennità di anzianità al trattamento di fine rapporto


Gli effetti patrimoniali della cessazione del rapporto sono disciplinati dalla l. 297/82, con la quale il legislatore ha modificato profondamente l’istituto dell’indennità di anzianità, sostituendolo con il trattamento di fine rapporto (t.f.r.).
Questo trattamento è dovuto dal datore al prestatore di lavoro in ogni caso di cessazione del rapporto.
Più precisamente, la sua corresponsione è oggetto di un’obbligazione che sorge per effetto della cessazione del rapporto, confermandosi così la natura di retribuzione differita già propria dell’indennità di anzianità.
Quest’ultimo istituto era stato oggetto di interventi della legge e della Corte costituzionale.
Tali interventi avevano sancito il definitivo superamento della sia originaria natura indennitaria e la sua attrazione nell’ambito della nozione di retribuzione in ragione della generale obbligatorietà della sua corresponsione.
In definitiva si può dire che alla tradizionale funzione riparatorio-previdenziale dell’indennità di anzianità si era sostituita una funzione retributivo-previdenziale, analoga a quella tutt’ora svolta anche dal t.f.r.
D’altronde, proprio la funzione retributivo-previdenziale del t.f.r. giustifica la particolare tutela che il legislatore ha predisposto al fine di assicurarne l’effettivo godimento da parte del lavoratore anche in caso di inadempienza o di insolvenza del datore di lavoro, in particolare attraverso l’istituzione presso l’INPS di un apposito fondo di garanzia.
Il t.f.r. si differenzia dal precedente istituto dell’indennità di anzianità essenzialmente nel sistema di calcolo: esso, infatti, non consiste più nel prodotto (c.d. ricalcolo) di una quota dell’ultima retribuzione per gli anni di servizio, bensì nella somma di quote di retribuzione accantonate annualmente.

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