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La disciplina del tempo di lavoro; clausole elastiche, lavoro supplementare e straordinario


La disciplina introdotta dal d.lgs. 276/2003 ha modificato soprattutto gli aspetti relativi all’organizzazione del tempo di lavoro.
Infatti la normativa originaria era rivolta a tutelare il prestatore di lavoro a tempo parziale nel corso del rapporto, a fronte delle esigenze di flessibilità del datore.
Il legislatore, pur se aveva ammesso la possibilità di prolungamenti dell’orario concordato, nonché consentito l’inserimento nel contratto a tempo parziale di una clausola elastica, in virtù della quale al datore di lavoro viene conferito il diritto potestativo (analogo allo ius variandi delle mansioni) di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa rispetto a quella originariamente concordata, tuttavia aveva circondato di cautele l’accesso a queste forme di flessibilità temporale.
Viceversa, nella nuova formulazione del d.lgs. 61/2000 quale deriva dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 276/2003, uno degli aspetti di maggiore impatto innovativo consiste nell’aver reso più agevole per le imprese il ricorso al lavoro supplementare nel part-time orizzontale ed al lavoro straordinario nel part-time verticale o misto.
Per quanto riguarda il lavoro supplementare, cioè svolto oltre l’orario di lavoro concordato ed entro il limite del tempo pieno, a differenza di quanto disposto in precedenza si prevede che il consenso del lavoratore alla prestazione supplementare sia necessario solo in assenza di disciplina collettiva, anche se si precisa che il rifiuto del lavoratore non può mai integrare gli estremi di un giustificato motivo di licenziamento.
Per quanto attiene, invece, al lavoro straordinario, si ribadisce la possibilità del ricorso ad esso nel caso di part-time verticale o misto, nonché l’applicazione della normativa generale dettata per i rapporti a tempo pieno.
La riforma del 2003 accresce anche il potere del datore di lavoro di modificare la collocazione temporale della prestazione di lavoro a tempo parziale, nonché di aumentarne la durata.
Si è infatti riconosciuto alle parti la facoltà di introdurre nel contratto individuale, anche se a tempo determinato, non soltanto clausole flessibili che autorizzano la modificazione unilaterale della collocazione temporale della prestazione del lavoratore, ma altresì (nei contratti a tempo parziale di tipo verticale o misto) clausole elastiche che consentono l’aumento della durata della prestazione lavorativa nel suo insieme.
Si tratta di materie in precedenza riservate alla contrattazione collettiva.
È ancora da segnalare che l’accordo delle parti individuali sull’inserzione di una clausola flessibile o elastica deve risultare da uno specifico atto scritto e che il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante sindacale aziendale da lui scelto.
Il rifiuto di stipulare il patto contenente la clausola flessibile o elastica non costituisce giustificato motivo di licenziamento.
Tali clausole sono state considerate dalla Corte costituzionale in contrasto con l’art. 36 cost., nelle ipotesi in cui la variabilità della collocazione temporale della prestazione ad orario ridotto impedisca al lavoratore di assumere ulteriori impegni lavorativi, e quindi di assicurarsi il raggiungimento di una retribuzione “globalmente” sufficiente.

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