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Servizi sanitari nazionali e regole del mercato interno


Gli ordinamenti degli stati membri conoscono sistemi sanitari organizzati in base a principi e regole profondamente diverse tra di loro.
La tradizionale distinzione tra modello “bismarckiano-assicurativo” e modello “beveridgiano-universalistico” trova proprio con riferimento al diritto “sociale” alla salute una persistente validità descrittiva.
Nei sistemi sanitari riconducibili al primo modello il cittadino è obbligatoriamente iscritto ad un fondo assicurativo che copre i costi delle prestazioni sanitarie offerte dagli organismi convenzionati con il fondo stesso.
La “copertura” può avvenire o tramite rimborso delle spese sostenute dal paziente (Lussemburgo, Belgio, ecc…), o tramite pagamento da parte del fondo alle strutture sanitarie convenzionate, in tal caso senza esborso di denaro da parte del paziente (Germania, Olanda, ecc…).
Altri ordinamenti europei (Inghilterra, Italia, ecc…) garantiscono il diritto alla salute dei loro cittadini attraverso servizi sanitari nazionali nei quali le cure sono erogate gratuitamente da strutture sanitarie “pubbliche”.
In questo caso il costo della spesa sanitaria è sostenuto dalla fiscalità generale.
La sentenza Kohll riguarda un sistema di assicurazioni sociali operanti attraverso il meccanismo del rimborso.
In tale sistema il diritto comunitario impone si riconosca natura economica al servizio sanitario, esistendo una “remunerazione” a fronte della prestazione erogata.
Nel caso in cui il soggetto che riceve cure all’estero sia iscritto ad un sistema di assicurazione sanitaria che garantisce prestazioni dirette, cioè non tramite rimborso, si potrebbe sostenere che manchi la “remunerazione” perché il paziente ha diritto alle cure gratuitamente da parte della struttura sanitaria, che è pagata direttamente dal fondo assicurativo.
È in base a quest’argomentazione che l’Olanda ha cercato di negale l’applicabilità delle regole del mercato interno al proprio sistema di assicurazioni previdenziali.
Nelle sentenze Smits e Peerbooms e Muller-Faurè la Corte di Giustizia non ha accolto una simile strategia difensiva.
La Corte chiarisce definitivamente che le caratteristiche organizzative del sistema sanitario non incidono sul diritto del paziente di accedere a cure in un altro Stato membro.
Da ciò consegue che un paziente può avere diritti di scegliere presso quale struttura sanitaria farsi curare all’estero.
Come visto, tale diritto, nel caso di cure ospedaliere, è (seppur parzialmente) limitabile da parte degli Stati, mentre, con riguardo alle prestazioni extra-ospedaliere, esso si configura come “illimitato”, ovvero totalmente sottratto alla capacità di controllo delle autorità sanitarie.
Le conclusioni cui giunge la Corte offrono il fianco a una considerazione critica.
In particolare, il principio per il quale per applicare l’art. 49 Trattato CE ai casi di specie non è necessario valutare se le prestazioni di cura siano o meno qualificabili come “servizi” secondo la normativa dello Stato competente non convince, perché non appare coerente con la ratio e le finalità dell’art. 49 Trattato CE né con la riserva di competenza degli Stati in relazione all’organizzazione dei sistemi sanitari sancita dall’art. 152 Trattato CE.
La Corte fa derivare l’applicabilità dell’art. 49 Trattato CE ad un sistema sanitario pubblico dal mero fatto che un paziente chieda di accedere ad una prestazione medica presso una struttura “esterna” al sistema stesso.
Così facendo antepone le regole di mercato ai principi solidaristici sui quali i sistemi sanitari si fondano e “recupera” tali principi solo in quanto possibili ragioni capaci di giustificare deroghe alle libertà economiche.

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