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Diritto romano: compravendita e patti

DIRITTO ROMANO: COMPRAVENDITA E PATTI


Alla compravendita potevano accedere dei patti:

- In diem addictio: il bene sarà acquistato dal compratore (quindi il contratto produrrà i suoi effetti) a meno che, entro un certo termine, qualcuno non offra un prezzo migliore: la seconda offerta deve essere notificata al primo acquirente.
- Lex commissoria: il venditore si riserva di considerare il contratto come non avvenuto se il prezzo non gli viene pagato entro una certa data.
- Pactum displicentiae: a favore del compratore, il quale in base ad essa può recedere dal contratto se la cosa non risulta di suo gradimento.

Queste clausole venivano considerate dai giuristi, inizialmente come condizioni sospensive, poi come patti di risoluzione, sottoposti a condizione sospensiva, in modo che, verificandosi questa, si verifica la condizione introdotta nel patto e la compravendita cessa di produrre effetti.

Venne introdotta l'Arrha, nostra attuale caparra: il futuro compratore versava al futuro venditore una somma di denaro. Se il contratto non veniva concluso a causa del venditore, questi doveva restituire l'arrha al doppio. Se non veniva concluso per volontà del compratore, egli perdeva la somma versata.
Secondo Gaio, per i romani, questa era solo una procedura che provava l'esistenza del contratto.

Tratto da ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO di Sara Zauli da Baccagnano
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