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La legis actio sacramento in rem

LA LEGIS ACTIO SACRAMENTO IN REM


Con questa legis actio potevano esser fatti valere i poteri del pater familias, dell'erede e del proprietario verso i terzi; esso regolava anche i rapporti tra chi si riteneva proprietario di un dato individuo, in quanto schiavo, e chi invece voleva affermare la sua libertà. Tutelava anche alcuni diritti sui beni.

Come veniva strutturato il processo 

L'attore doveva portare in ius la cosa o la persona che affermava essere di sua proprietà, togliendola, nel caso, con la forza a chi la possedeva, oppure facendo venire il rex sull'immobile di cui si contendeva.
Chiunque volesse contestare la vindicatio dell'attore doveva recarsi spontaneamente in ius e opporsi nelle forme prescritte.
Dinanzi al rex o al magistrato, come afferma Gai 4.16, facendo l'esempio della vindicatio su uno schiavo, l'attore con una bacchetta in mano affermava la proprietà di egli.
Il convenuto non poteva limitarsi a negare che lo schiavo appartenesse all'attore, ma aveva l'onere di affermare che esso apparteneva invece a lui, fare quindi una contravindicatio, parlando e gestendo come aveva fatto l'attore.
Entrambi affermavano proprio lo schiavo afferrandolo come per strapparselo l'un l'altro di mano.
Se invece dovesse trattarsi di un immobile, in quel caso il rex si reca sul posto vedendo la cerimonia del manum conserere che consisteva nell'intreccio delle mani di una parte con l'altra; successivamente con le XII Tavole divenne l'atto solo dichiarato di affermare insieme una zolla del fondo o parte dell'altro bene per portarla dinanzi al magistrato e lì farne la vindicatio.

L'attore sfidava l'avversario al sacramentum, ossia a giurare in nome di Giove che la propria vindicatio era conforme al ius.
In un periodo in cui era diffusa la credenza sovrannaturale, era ovvio sperare che una delle due parti non volesse rischiare la vendetta divina. Secondo Gaio invece l'attore era pronto al giuramento e nel caso in cui entrambi giuravano, si aveva una situazione di stallo, che veniva superata con un giudizio sulla conformità al ius dell'uno o dell'altro sacramentum.
In attesa del giudizio il rex o magistrato assegnava il possesso provvisorio del bene ad una delle parti, a quella che riteneva più probabile vincitrice o che forniva migliori garanzie di restituzione all'altra parte. L'assegnatario doveva assicurare la restituzione, qualora l'altra parte vincesse, del bene o dei frutti nel frattempo maturati.
La natura religiosa del sacramentum induce a supporre che anche il giudizio fosse religioso: si aveva un vero e proprio giudizio di Dio, basato su un modello ordalico, e successivamente un giudizio con cui da parte dell'uno o dell'altro collegio sacerdotale si scrutava in altro modo il pensiero della divinità.
In entrambi i casi la decisione finale era pronunziata dallo stesso rex supremo capo anche religioso, e instaurata la repubblica fu dato il compito ai soli pontefici prima della laicizzazione del processo.
Concluso il giudizio, il vincitore poteva tenersi la cosa o la persona, l'altro poteva recuperarla con la forza.
Questo processo non dava nessun vantaggio al possessore della cosa, in quanto non gli permetteva di negare l'appartenenza della cosa o persona all'attore, ma lo costringeva ad affermarsi egli stesso titolare del potere familiare o di proprietà. Lo metteva anche in una situazione di svantaggio in quanto doveva essere il primo a pronunciare il sacramento. Alla fine il giudizio era relativo, in quanto il giudice dava faceva vincere colui con il diritto più forte o meno debole.

Tratto da ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO di Sara Zauli da Baccagnano
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