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Produzione e commercio delle città fenicie


Nel periodo precoloniale e nella prima età coloniale il commercio era sostenuto soprattutto dai luoghi di culto dedicati al dio Melqart e alla dea Ashtart, dei quali furono trovati templi a Cuccureddus, Villasimius e quello di Ashtart Madre sul Capo Sant’Elia, all’interno dei quali avvenivano le transazioni commerciali e dove venivano depositati i documenti contabili contrassegnati dai contraenti e sottoposti alla tutela e alla garanzia della divinità. I nuovi insediamenti stabili fenici invece traevano sostentamento dal territorio. I primi, trafficando attraverso il mare, portavano nell’isola oggetti di artigianato, beni di lusso e risorse alimentari di pregio come il vino e prelevavano soprattutto materie prime; i secondi invece cambiarono le finalità economiche, poiché le continue invasioni assire, i rapporti conflittuali con i regni vicini, la pressione demografica e l’aumento del debito alimentare provocarono un rarefarsi e un chiudersi dei rapporti con la madrepatria.
Le indagini archeologiche hanno fatto emergere come lo sfruttamento delle miniere, ancora di proprietà delle popolazioni nuragiche, interessasse in modo marginale; inoltre in questo periodo l’allevamento ovicaprino e bovino prendono il sopravvento sulla caccia. La politica economica ormai era volta verso uno sfruttamento delle risorse del territorio: taglio del legname e impianto delle saline, per esempio (il sale era usato nella produzione delle conserve alimentari, tra cui quella del tonno). L’importanza del tonno è documentata dalle numerose tonnare lungo la costa nord, ovest e sud dell’isola, intorno alle quali ci sono quasi sempre insediamenti fenici. Ugualmente importante era la produzione di porpora, importante per il fatto di essere l’unico pigmento naturale indelebile dell’antichità; non abbiamo però testimonianza degli impianti di produzione e i residui di lavorazione, poiché i gusci stessi erano spesso utilizzati per la produzione della calce.
Un nuovo aspetto importante dell’economia era il commercio del vino verso il mondo etrusco per tutto l’VIII e la prima parte del VII secolo a.C.: la coltivazione della vite, introdotta precocemente in Sardegna dai mercanti filistei, contribuì a incrementare i rapporti tra il mondo nuragico e fenicio della Sardegna e le città dell’Etruria. Accanto al consumo del vino si sviluppò una complessa economia, con l’introduzione di rituali orientali (come il marzeah, o banchetto sacro, dove il vino era visto come elemento che avvicinava alla divinità; inoltre il banchetto era utile anche per stringere alleanze e per scambiare beni). Grazie a questi rituali orientali, si diede l’input per la produzione e lo scambio degli oggetti destinati al consumo di questa bevanda. Gli stessi Fenici di Sardegna per bere il vino utilizzavano anche coppe di produzione greca o etrusca: soprattutto gli skyphoi  provenienti dall’Eubea (nel corso dell’VIII secolo), poi in seguito anche le kotylai di produzione corinzia. Con la seconda metà del VII secolo furono utilizzati kantharoi, kyathoi e kylikes in bucchero provenienti dai centri dell’Etruria meridionale (Tarquinia), affiancati nella prima metà del VI secolo dalle coppe di tradizione greco-orientale, di fabbrica massaliota. Sempre per quanto riguarda il consumo del vino, sono state ritrovate alcune anfore da trasporto. A testimonianza dei traffici, invece, sono state ritrovate alcune anfore arcaiche di produzione attica, adibite al trasporto dell’olio, e numerosi contenitori di unguenti profumati, come gli alabastra, provenienti da Corinto, dalla Laconia e dall’Etruria (prima parte VI secolo a.C.).

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