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L’antropologia del politico


Si presenta come un mezzo per prendere le misure d’insieme del campo dell’antropologia: occupa perciò un posto a parte, in quanto la variabilità delle forme di organizzazione politica è servita da criterio tipologico per identificare le formazioni sociali. Parte dal tentativo di spiegare la genesi dello Stato: la nascita di un potere centrale autonomo non risulta mai provocata da una causa unica e universale, ma può essere associata alla conquista, allo sfruttamento economico di una classe sociale su un’altra, all’esistenza di un surplus, al controllo degli armamenti, alla necessità di organizzare la produzione. In molte società non è possibile configurare il livello politico senza passare attraverso lo studio del fatto religioso: alcune società possono essere governate senza che una classe dirigente eserciti, attraverso un governo centrale, una vera e propria sovranità su un’unità territoriale ben definita, poiché politico non può essere ridotto a potere. Il potere può esprimersi attraverso una serie di prestazioni reciproche tra il capo e i membri del gruppo.
In certe società studiate può esistere uno stretto intreccio tra Stato e parentela, possono rivestire una funzione importante anche gli scambi matrimoniali, allargando la rete di alleanze. Le società sprovviste di istituzioni centralizzate e dove le relazioni tra gruppi di lignaggio non sono regolate da una specifica autorità sono definite società segmentarie, dove l’importanza delle unità politiche in gioco dipende dalla fusione o dalla contrapposizione dei segmenti di lignaggio in rapporto tra di loro; in altre società i gruppi di parentela sono controbilanciati da classi di età, da gruppi gerarchizzati di individui che attraversano insieme i riti di iniziazione socio-religiosi. D’altronde, i dispositivi del potere passano spesso attraverso i riti e le rappresentazioni cosmologiche. L’istituzione reale presenta spesso una dimensione sacra: il re si trova alla congiunzione del mondo divino con quello sociale e la sua funzione è indispensabile per la perpetuazione dei ritmi cosmici e per la celebrazione delle grandi cerimonie annuali, con un potere tanto più legittimo quanto più appare inserito nell’ordine naturale e deve la propria efficacia all’ignoranza dei meccanismi che lo fondano. L’ordine che ne deriva può essere più o meno esplicito e non comporta l’emissione di norme giuridiche, se no quando la loro violazione dà luogo a una sanzione inflitta da una o più persone qualificate a farlo.
Per questo il problema della genesi dello Stato ha lasciato il posto allo studio della diversità dei modi di esercizio del potere, dei meccanismi di dominio, delle forme di funzionamento dello Stato. L’antropologia del politico si interessa anche delle diverse modalità che danno luogo alla territorialità, delle stratificazioni sociali, dello status e dei ruoli, dell’esercizio legittimo della forza, del conflitto, delle relazioni tra legge, diritto di appropriazione e politica, dove non basta studiare le regole, ma bisogna tenere conto delle pratiche che ci sono quando le si osserva in situazioni specifiche. Per questo si fa una distinzione tra potere e autorità, che implica una certa legittimità rispetto al potere.
A partire dagli anni ’70, sull’onda dei filosofi post-strutturalisti, si discute delle relazioni di potere: il potere di certi capi locali, sotto il colonialismo, poteva essere cresciuto o diminuito, ma in ogni caso era cambiato.
La violenza è uno dei temi più rilevanti: il corpo diventa uno strumento al servizio di una causa (come per i terroristi), lo sciopero della fame, l’attentato suicida… La radicalizzazione delle posizioni in campi opposti determina il coinvolgimento fisico, il passaggio all’atto e l’esplosione di violenza, da cui trae linfa anche la propaganda politica, fino a sfociare in un programma di sterminio. La guerra si presenta come un termine troppo inglobante, con diverse forme: guerra istituzionalizzata, convenzionale, iniziatica, economica, civile o militare, consuetudinaria, modo di produzione; ogni guerra, comunque, vede contrapposte unità politiche localizzate. Prima ci si basava su teorie rigidamente etniche, poi ci si è concentrati sul carattere storico del diritto coloniale, dei gruppi etnici e del carattere dinamico del politico: l’etnia non può essere paragonata a una specie naturale che sopravvive o si estingue, ma va analizzata come un fenomeno storico, come un processo, dove sono importanti anche il conflitto e la contraddizione.
Ora ci si sta concentrando su clientelismo, ereditarietà delle funzioni, legami tra poteri locali e Stato. Il multiculturalismo è un fenomeno complesso, nel quale è necessario distinguere tra l’affermazione di differenze irriducibili e il principio di una società più aperta: l’immigrazione porta a una specie di etnicizzazione dei diversi gruppi migranti, che si spiega come un indebolimento della forza di attrazione che spinge all’assimilazione e all’integrazione. La politica è anche l’arte di amministrare e produrre soggetti, cittadini.
L’antropologia del politico trova in certi casi difficoltà a conservare un atteggiamento descrittivo o esplicativo libero da qualsiasi dimensione normativa, con l’invito a entrare come consulenti al servizio di istituzioni in continua ricomposizione.

Tratto da L'ANTROPOLOGIA DEL MONDO CONTEMPORANEO di Elisabetta Pintus
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