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Le conseguenze dell'autunno caldo nell'industria

Le conseguenze dell'autunno caldo nell'industria

L’intera struttura industriale italiana fu colpita duramente dalla forza dell’autunno caldo. Sia la Confindustria che l’Intersind furono costrette sulla difensiva. Sarebbe stato auspicabile un collegamento tra di loro che però non si ebbe.
All’interno dell’Intersind fu innescato un meccanismo determinato da fattori politici e da cause economiche che rese gran parte dell’industria partecipazione statale un sistema inefficiente e indebitato.
La firma del contratto dei metalmeccanici nel dicembre 1969 provocò la critica del presidente Glisenti, che denuncerà  la sua delusione. Gli scioperi faranno crollare le innovazioni contrattuali di cui l’Intersind era andata tanto fiera. Quella di Glisenti, però, non è una critica senza rimedio. È un invito al sindacato a modificare il proprio atteggiamento che non fa altro che danneggiare le imprese pubbliche più esposte delle altre per le loro dimensioni. Glisenti esorta anche il governo e il sistema politico a non essere troppo cedevoli alla turbolenza sociale. Il doppio livello contrattuale, difeso agli inizi degli anni Sessanta, ora veniva criticato.
Nel settembre 1970 Glisenti presenterà le dimissioni dall’Intersind.  Il progetto di riforma delle relazioni industriali si era dissolto da un lato sotto i colpi dell’autunno caldo e della conflittualità permanente e dall’altro per il drastico mutamento degli atteggiamenti del sistema politico verso le Partecipazioni statali. Adesso l’egemonia è nelle mani delle confederazioni sindacali. Il management delle imprese pubbliche doveva adeguarsi. Era l’esatto contrario degli anni sessanta, quando la politica contrattuale di IRI e ENI aveva la guida dell’evoluzione delle relazioni industriali.
Anche per la Confindustria il 1969 esercitò un impulso potente verso la riforma interna.
L’iniziativa partì da un gruppo di giovani industriali, l’Unione industriale di Torino, sostenuti da alcuni grandi gruppi come la FIAT e la Pirelli. che promossero un’azione generale di ripensamento dell’organizzazione interna e della collocazione dell’impresa nella società civile.
Il loro obiettivo era riformare la Confindustria.
Questa appare un sistema chiuso, privo di ricambio nel suo ceto dirigente.
Nella fase calante del centrosinistra l’industria non è più percepita come il canale di promozione individuale e collettiva che era stata in passato ma come il punto di origine di squilibri, di disuguaglianze, di disparità nei diritti.

Tratto da L'ITALIA DELLE FABBRICHE di Cristina De Lillo
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