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Uomini in fuga dalla guerra


La caratteristica comune a molti casi di fuga, diserzione e abbandono di posto è dunque quella di svolgersi nell’incoscienza, sotto la spinta di impulsi incontrollati e di automatismi.
Il pensiero della casa è insomma una forma virtuale di fuga, segnala la direzione prevalente dell’immaginario del soldato, il luogo dove vorrebbe essere e andare, quello verso cui si dirige mentalmente e — non appena sia possibile, per il venir meno di inibizioni e controlli — anche di fatto.
La forza che trascina il soldato verso casa, che tende a trattenerlo lontano dall’ambiente di guerra, cresce d’altra parte col dilatarsi dello spazio e del tempo che lo separano dal fronte. La convalescenza, la tranquillità della licenza sono l’ambiente ideale per l’insorgere o il rafforzarsi della malattia, intesa come mezzo di fuga.
Da tutto questo deriva la preoccupazione degli psichiatri di garantire un’osservazione e un intervento precoci, il più possibile in prossimità del fronte.
Se la malattia consiste nel bisogno di allontanamento dalla vita di trincea e dalla guerra, la terapia implica un pronto riadattamento ad essa. «L’azione terapeutica deve essere precoce».

Ferimenti e autolesioni erano mezzi immediati, non richiedevano conoscenze e procedure complesse. Ma ben presto si assistette a una moltiplicazione dei casi e delle varianti. Nella loro ricerca di una via di salvezza, i soldati non esitano di fronte ai mezzi estremi. Non mancano quindi i casi con esito letale.

Come l’autolesionismo, la simulazione dei sintomi di malattia mentale appartiene alla tradizione del rapporto tra ceti contadini, coscrizione obbligatoria, guerra. La simulazione appare a più d’uno mezzo infimo di autodifesa, e quindi segno di inferiorità, sintomo di malattia o malattia essa stessa. Come in un circolo vizioso, chi simula una malattia mentale deve essere in qualche modo affetto da squilibrio, dà segno di una patologia.

Nella loro lotta infaticabile per sfuggire alla logica e agli imperativi della guerra, i soldati utilizzano insomma i dispositivi più tipici della scienza psichiatrica tradizionale, tentando in particolare di volgere a proprio favore un presupposto circolante in molta parte della scienza ufficiale: dietro a ogni disperato, sofferente, disertore, refrattario c’è un matto, e dietro a ogni matto ci sono una predisposizione e un’ereditarietà morbosa, una caduta dal fasciatoio e una madre prostituta.

Tratto da L'OFFICINA DELLA GUERRA di Anna Bosetti
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