Skip to content

La nascita dell'avanguardi modernista

La nascita dell'avanguardi modernista

Come già precisava Karl Mannheim il problema della relazione conoscitiva si fonda sulle connessioni fra reale e ideale. L'identità della ragione moderna ha successiva prodotto un idealismo ideologico che sconnettendosi dalla precipua realtà del vissuto si connette ad un progetto "geometrico" tale da potersi dire, descrivere, osservare solo come esempio. La progettualità del Moderno è anche una forma di fede estrema nelle possibilità logiche dell'individuo, quale definizione assoluta del linguaggio; l'idea del progetto artistico è uno dei luoghi della comunicazione maggiormente aderenti al concetto stesso di Modernità. L'avanguardia modernista nasce quindi già come progetto e si alimenta della mentalità utopica nella contraddizione persistente della realtà. L'idea di spezzare l'ordine preesistente attraverso il progetto moderno ha inoltre due facce contigue, quella del messaggio utopico, e quella opposta del messaggio ideologico. Qui l'ideologia rappresenta il sistema politico e sociale gravato dallo schematismo della logica conoscitiva, in cui quindi le trasmissioni comunicative non vertono sul dialogo della progettualità con la trascendenza. Il progetto conoscitivo dell'arte, come sappiamo bene, quando è rimasto ingabbiato nello schematismo logico dell'ideologia, ha perso la sua connotazione di ricerca, ed alla luce della contemporaneità risulta essere un inizio del fallimento moderno della disciplina artistica [Maurizio Vitta]. L'idea di divulgare ciò che altre discipline andavano formalizzando diviene per l'arte l'inciampo ideologico, programmatico, lesivo della sua indipendenza. Qui le dinamiche curatoriali s'iniziano a percepire come organismo a se stante, per certi versi inglobato nelle identità della pratica oggettuale dell'arte. Ciò che il meccanicismo dialettico del razionalismo non riusciva a produrre, in termini di ideologia, lo rilascia in contenuti di utopia, quando ovvero l'indagine verte non sull'esistente ma su ciò che si proietta come esistente in un al di là del tempo e dello spazio. Ne conviene quindi che l'identità dell'utopia si differenzia con l'ideologia formale attraverso l'apertura di un campo possibile ma non direttamente conseguente all'indagine sociale; le dinamiche curatoriali hanno avanzato l'ipotesi di una loro trascendenza dall'oggettualità proprio descrivendosi come utopie leggibili in un tempo pervaso da ideologie concrete. La nascita di un sistema dell'arte avverso ad ogni segnale che non fosse identificabile con la sua propria tradizione è in realtà un controsenso storico proprio perché aderisce al significato di progetto utopico piuttosto che non a quello di aderenza ideologica. Il problema posto da questa pratica progettuale che è del Moderno è sintomaticamente positivista; ma qui la logica smentisce se stessa perché non la si può comprovare altrimenti che con la sua tradizione [Maurizio Ferraris, 2001]. Un paradosso per l'identità dell'avanguardia che si suppone debba essere indipendente e funzionale ai suoi scopi; tuttavia la pratica curatoriale, tutoriale dell'arte utopica, ha trovato il suo sistema di esplicazione dimostrando nei termini di un discorso specifico, ciò che altrimenti rimarrebbe oscuro ai più. La pratica curatoriale in altri termini supplisce il mancato coefficiente linguistico dedotto dalla tradizione elaborando quei contenuti comunicativi che permettono la lettura dell'avanguardia. L'esplicazione è anche una forma di tradimento dell'oggetto che si vorrebbe altero e solitario nella sua innata forza di conoscenza. Ma è un tradimento che non lede l'utopia. Il linguaggio curatoriale, la critica e l'esegesi, esplicano per connettere i due campi, l'ideologia con l'utopia, facendo dell'operazione artistica uno strumento di analisi sociale e politica. Naturalmente la ribellione curatoriale degli anni Settanta conclude un ciclo di apparente disinganno della scrittura e ne apre un altro, più strutturale. Se la critica diviene arte, o paradossalmente una sua alterazione afferente, questa forma disciplinare rimane distaccata dalla tradizione ideologia per riscoprirsi esclusivamente forma utopica. Proprio nella sua distanza dall'arte, usufruendo di prospettive analogamente utopiche, la tensione curatoriale scoordina il postulato della progettualità e definisce un campo inaccessibile, insondabile alla ricerca scientifica. La cura critica conclude il suo esercizio nell'esimersi da ogni analisi comprovabile assumendo lo stesso metodo utopico dell'arte. Il passo successivo si conclude nel terreno dell'ambientazione espositiva; se questo luogo è rimasto definito nella sua essenza quale modello aperto delle utopie, e se la cura critica ne condivide gli atteggiamenti allora l'unico modello di riferimento logico diviene il sistema espositivo, lo spazio della galleria, il luogo del museo, il territorio dell'azione. Ma essi paventano la loro libertà e si riferiscono sempre ad un livello di raziocinio che è proprio del sistema economico. Qui le pratiche curatoriali si esauriscono nella desertificazione del significato, nella sua stessa esistenza. Il terreno della comunicazione si affievolisce, resistendo solo come corollario tecnico, indimostrabile se non con le connessioni economiche. Il mercato stabilisce allora i percorsi dell'arte assumendone il controllo, mentre la cura critica ed il suo linguaggio divengono abbellimento e surplus di valore, certificazione di uno stato di fatto. Non stupisca se poi spesso le quotazioni sono realizzate proprio pubblicamente per rendere stabile un percorso fattuale. Nella logica degli eventi questa rimane comunque la soglia percettibile di un valore altrimenti inestimabile per difetto.

Tratto da LA CURA CRITICA di Alessia Muliere
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo riassunto in versione integrale.