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La convenienza per l'impresa a devolvere in modo permanente l'1% del fatturato sotto forma di sconto


Dando infatti per scontato che l'obiettivo principale delle imprese sia quello di generare profitto, la Commissione Europea non vede perché un'azienda dovrebbe spontaneamente aderire ad un progetto che rappresenta, a livello di valore della produzione, una diminuzione dei ricavi pari alla percentuale di sconto ed una, almeno, equivalente riduzione dei margini di profitto.

A fronte di tale critica i sostenitori della De-Tax replicano che, introducendo e pubblicizzando tale proposta, l'aumento dei profitti conseguente all'aumento del fatturato potrebbe eguagliare o addirittura superare lo sconto offerto. Tale argomentazione, tra l'altro di difficile dimostrazione, tenderebbe ad annullarsi nel caso limite in cui tutte le imprese applicassero la De-Tax, in quanto l'effetto pubblicità sarebbe esteso a tutte le imprese ed i consumi essendo rigidi non potrebbero venir dilatati.

Appaiono invece più efficaci le opportunità offerte dal punto di vista fiscale. L'esclusione dello sconto praticato dalla base imponibile dell'imposta sui redditi e sul valore aggiunto rappresenta non a caso uno dei punti cardine della De-Tax. Cercando infatti di controbilanciare la riduzione dei profitti tramite la diminuzione dell'imposizione fiscale, essa tenta di rendere l'operazione più vantaggiosa agli occhi degli imprenditori. Allo stato attuale della normativa, però, la leva fiscale non è ancora sufficiente ad equilibrare la diminuzione dei margini di profitto.

Il fisco italiano prevede anche una sorta di incentivo riconoscendo come costi di pubblicità deducibili tutti quegli oneri che l'azienda sostiene per incentivare la clientela ad aderire al progetto. Nella Risoluzione Ministeriale 82/E del 1998 si legge infatti che “per quanto concerne il costo di stampa delle cartoline (per l'adesione del cliente), nonché quello di stampa ed affissione dei  manifesti e degli altri mezzi di diffusione necessari a pubblicizzare le azioni di sostegno e di collaborazione alle iniziative di solidarietà, la scrivente ritiene che lo stesso può essere considerato quale spesa di pubblicità e come tale essere dedotto, ai sensi del comma 2 dell'art. 74 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in quanto trattasi di onere che, anche se sostenuto per fini umanitari a favore delle iniziative benefiche, consente di incrementare la vendita dei prodotti e quindi dei ricavi”. L'imprenditore, inizialmente, a fronte di un calo dei profitti, riceve un beneficio indiretto sul piano dell'immagine. Uno strumento economico, quale la pubblicità, può divenire mezzo privilegiato per accrescere il successo di tali iniziative di solidarietà: facendo conoscere se stessa e accrescendo la propria clientela, l'impresa aumenta i propri ricavi. Così aumenta pure la percentuale da destinare allo sviluppo, promuovendo il binomio efficienza e solidarietà. Come si è visto, tuttavia, tale beneficio per l'imprenditore tenderà, chiaramente, ad annullarsi nel tempo con la progressiva estensione dell'adesione all'iniziativa. Per rendere effettivamente conveniente all'imprenditore l'adesione al progetto occorrerebbe da parte dello Stato la concessione di un ulteriore incentivo fiscale. Infatti, ipotizzando che i profitti lordi sul fatturato siano mediamente del 5% (considerando una media che va dal 2-3% per la grande distribuzione, a percentuali ben più elevate per i generi di lusso) il valore dei profitti lordi prima delle tasse ammonterebbe a circa 36 milioni di Euro, mentre il valore dei profitti netti (ammettendo una imposizione del 33%) ammonterebbe a circa 24 milioni di Euro. Lo Stato perciò dovrebbe attribuire agli operatori aderenti al progetto un credito di imposta almeno pari a questa cifra al fine di recuperare il mancato guadagno.

Tratto da LA DE-TAX di Filippo Amelotti
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