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Il rapporto uomo-Dio e il ritorno alle origini del tempo in Tommaso Campanella

Secondo Tommaso Campanella, ogni effetto resta sempre subordinato nel proprio essere alla sua causa, e non può innalzarsi ad un livello ad essa superiore (nessun fuoco può farsi come il sole). Ogni cosa al di sopra della quale l’uomo si innalza non potrà essere perciò la sua causa: quindi nessuna delle cause naturali, perché il pensiero scorre di cosa in cosa e in nessuna si arresta. Il pensiero dell’uomo tende all’infinito, come dimostra il fatto che solo l’uomo ha il culto religioso di Dio. Scienza e religione sembrano quasi contrastare il corpo perché lo studio debilita e la religione mortifica,eppure sono, oltre che nobili, anche naturali per l’uomo: vi è dunque qualcosa non riducibile al corpo (l’anima) a cui conviene altra vita da quella corporea. Ritorna puntuale alla teoria del desiderio naturale: il desiderio di un’altra vita reca in sé la certezza dell’ottenimento. Superiorità dell’uomo sulla natura: mentre ogni animale è atto ad un’unica attività l’uomo fa tutte le cose degli animali e altre di cui lui solo è capace.  Uso mirabile del fuoco, unico fra i terrestri. L’uomo non dipende dunque interamente alla natura (e alla legge di morte) ma direttamente da Dio: diversamente da come ne dipende la natura, perché è ad essa superiore. Non solo non potrà che essere immortale, ma anche più prossimo a Dio. Tutte le opere riflettono la divinità del loro autore, ma nell’uomo questo riflusso è maggiore (a sua immagine…). La conoscenza dei cieli è simile a quella che ne ha il creatore, e nella costruzione della città imita l’intrinseca struttura del corpo, e in ogni manufatto una cosa esistente in natura. Imitare in tal modo l’intelligenza creatrice di Dio è segno della sua divinità: la stessa adorazione che ricercarono alcuni uomini (tema ficiniano) è una convinzione della propria divinità. L’uomo può essere divinizzato, già in questa vita, tramite l’unione mistica con Dio. Di nuovo la tesi della dignità dell’uomo ha un esito geocentrico: a far grande l’uomo è il divino che è in lui, e quanto più cresce e si sviluppa la presenza di Dio, tanto più l’uomo aumenta in dignità.

Il ritorno alle origini e la lotta nel tempo

Il termine origine denota l’avvio, il primo apparire di qualcosa, la loro manifestazione iniziale. Può avere anche il significato di “puro”, “autentico”  e i giudizi sono, in questo caso, di valore. A separare l’originario da chi lo giudica un bene e ne auspica il ritorno c’è un periodo di tempo durante il quale l’originario si è trasformato, cessando di essere quello che era.
Ci si trova nel tentativo di lottare nel tempo contro il tempo. I guasti provocati nel tempo sono di due tipi: irrimediabili, almeno parzialmente rimediabili. Oblio e invecchiamento sono i più comuni: c’è un olio irrimediabile, che però non consente più alcun recupero di memoria (scuole filosofiche..) e un invecchiamento irrimediabile (la deperibilità del corpo, degli edifici…). Tra le evasioni dal tempo si può ricondurre molto alla categoria del “divertimento” in senso pascaliano: è una strategia di fuga volta ad allontanare la consapevolezza angosciosa dell’universale transitorietà delle cose. D’altra natura è invece l’evasione proposta da chi ritiene possibile svincolarsi effettivamente dal tempo per accedere all’eternità, la mistica occidentale e  orientale.  l’originario a cui tendono non è altro che il Principio stesso d’ogni finitezza e temporalità, l’Assoluto.
Oblio contrastabile è quello in cui l’originario cade per l’indebito proliferare di qualcos’altro, che finisce per soppiantarlo (il Cristianesimo per i Protestanti, Rousseau per il ritorno alla natura). Per vincere questo oblio basta allora rimuovere quello che, nel succedersi del tempo, l’ha celato. Anche un tipo di invecchiamento è rimediabile: quello che, in forma di abitudine e egemonia delle consuetudini, colpisce un’originaria azione della volontà e la funzione della ragione. Durando l’impegno nel tempo e dovendo ripetere la decisione, il rischio è che essa si trasformi in abitudine: una decisione ripetuta sempre più meccanicamente perde via via l’originaria energia che la caratterizzava. A questo si può reagire con il rito (Mircea Eliade): il rito consiste nella ripetizione dei gesti con cui in origine una divinità  istituì, compiendola una prima volta, quell’attività. È evidente che questa ritualizzazione mira ad impedire proprio l’insorgere dell’abitudine. “Ripetere” qui non vuole dire più”ridire”, ma “ripetere”, cioè riprendere. Non più ripetizione copiativa (depotenziamento) ma ripetizione creativa (ripresa, dunque ri-creazione). A differenza dell’inclinazione amorosa l’amore coniugale nasce quando la volontà decide di porsi come obiettivo il compito di conservare l’amore nel tempo, ossia di approfondire e consolidare quell’inclinazione.
Non è la decisione di un momento e neppure è presa una volta per tutte, ma va  incessantemente ribadita. Ciò a cui la volontà mira non è il permanere della decisione identica a se stessa, ma a garantirsi quella continuità e coerenza che impediscano il sorgere dell’abitudine. Anche la ragione deve fuggire dall’abitudine, mantenendo intatta la sua parte vitale, la curiosità, senza lasciarsi imprigionare da nessun punto di vista che via via elabora. Quanto più la consuetudine prende piede tanto più stimola la pigrizia della ragione e la facile comodità del risaputo:in tale stato di prostrazione e letargo si era trovata la ragione negli anni bui, secondo gli umanisti e gli uomini del Rinascimento. Il ritorno agli antichi,riscoperti nella pluralità delle loro voci, non è imitazione, ma il ritorno alla ragione, libero esercizio di curiosità e critica, e in generale di creatività.

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