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La dignità dell'uomo nei primi filosofi umanisti

Bartolomeo Fazio

È il primo a trattare il tema della dignità dell’uomo. Scrive il De vita felicitate e il De excellentia et prestantia hominis. L’esperienza quotidiana mostra che in terra non c’è alcuna felicità durevole: la provvidenza sembra avvalersi di questo per distogliere l’uomo dalla terra e rivolgerlo al cielo, sede della vera felicità. Solo l’unione con Dio può procurare la vera felicità,perché Dio è il sommo bene.
L’uomo può aspirare a questa unione proprio grazie alla sua origine divina, dimostrata, tra l’altro, dall’eccellenza del corpo umano. Fruendo di Dio, l’anima umana fruisce dell’eterna beatitudine, cioè della visione di Dio e di tutte le cose. Scoprire quale sia la dignità umana vuol dire cosa c’è in lui di divino: tale divinità consiste nella sua somiglianza con Dio, cioè nell’anima razionale ed immortale di cui è stato dotato. Inoltre lo dimostrano le opere di cui solo l’uomo è capace: tutto quindi, dalla civiltà al corpo eretto, dimostra dunque la natura divina dell’uomo.

Giannozzo Manetti

Giannozzo Manetti dimostra l’eccellenza dell’uomo a partire dalla complessione fisica e fisiologica del corpo umano. Attinge a Cicerone, Lattanzio, Aristotele, Galeno, Avicenna, Alberto Magno…ogni singola parte del corpo ha una finalità volta a costruire il corpo stesso.   Tale perfezione, che non può essere che opera di Dio, indicano la predilezione che Lui ha per l’uomo. Che dire allora dell’anima stessa, il tesoro più prezioso dell’uomo? È la prova più sicura della sua immortalità. La prima parte è sulla natura dell’anima, la seconda sull’immortalità e sulle sue prove. Il primo problema è cosi ampio che Manetti dichiara la sua incompetenza e si rivolge ai teologi cristiani.
Cinque sono gli argomenti per dimostrare l’immortalità dell’anima:
“1”uso del fuoco, il più sublime dei quattro elementi, destinato ad innalzarsi oltre;
“2” senso della perennità e istintiva cura per la vita, oltre che convinzione di una vita dopo la morte e desiderio di immortalità;
“3” naturale aspirazione dell’uomo alla felicità e dunque all’immortalità (ad ogni desiderio corrisponde la possibilità del suo soddisfacimento secondo natura)
“4” l’immortalità è il desiderio più radicato nell’uomo
“5” la giustizia divina, perché se questa terra fosse l’unica vita gli iniqui sarebbero premiati e ciò sarebbe manifesta negazione della giustizia di Dio.
Nella scrittura stessa è confermata l’origine divina dell’anima e quindi la sua immortalità.
Dopo aver provato questo si dilunga a elencarne le mirabili qualità. l’opera più alta della teologia umana è la teologia, che tratta di tutti i più riposti segreti del mondo. Il teologo è la massima espressione della divinità dell’uomo. Dopo aver parlato della natura corporea (I) e spirituale (II)dell’uomo, nel terzo libro parla della posizione dell’uomo nel mondo e della sua destinazione. Quanto alla creazione la sua è la posizione del credente: Dio ha creato il mondo e l’ha fatto per l’uomo, cosa dimostrata dalla struttura razionale del cosmo. Il mondo è per l’uomo, che ne è signore, e nel mondo l’uomo prolunga l’opera della creazione divina, lasciata volutamente da Dio in uno stato perfettibile. Il dominio dell’uomo si esercita anche sul mondo sociale, politico e morale. Fine della sapienza: da una parte, grazie alle virtù speculative, conoscere Dio, dall’altra, grazie alle virtù pratiche, fondare e reggere le istituzioni. Accanto alla sapienza sta la libera volontà dell’uomo, che si afferma sulle cose del mondo trasformandole. L’uomo regna sul creato ed è artefice di questo regno per grazia della divina provvidenza, e il suo fine ultimo resta sempre la religione e la sapienza delle cose divine. Il dominio sul mondo è un compito assegnato da Dio all’uomo: prima di essere dell’uomo ogni cosa è di Dio. L’uomo appare essenzialmente come un essere religioso e il rapporto con il mondo è giustificato solo se è sempre anche rapporto con Dio.
Nel quarto libro contrasta chi proclama la miseria della condizione umana  (Innocenzo III).
“a”Fragilità del corpo umano
“b” Fragilità dell’anima
“c” Di tutto l’uomo
Il corpo è stato fatto di fango perché accanto al principio dell’immortalità vi fosse anche quello di morte, nel caso avesse peccato. La morte è dunque una condizione derivante dal peccato, un male che l’uomo si è procurato da se. Vero che i corpi sono fragili ma natura ha fornito i mezzi per fare fronte a queste avversità. Contro Innocenzo III: i frutti dell’uomo non sono urina,feci ecc…ma gli atti dell’intelletto e della volontà. La vita non è corta, dura quanto basta perché gli uomini possano adempiere al compito dato loro dalla natura. Pervenuto alla vita celeste l’uomo realizzerà in tutta la sua pienezza quella condizione di eccellenza a cui la sua origine divina lo destina. Bisogna esortare l’uomo perché prende consapevolezza di ciò che realmente è e si comporti di conseguenza ottenendo, in questa ma soprattutto nell’altra vita, quanto la sua condizione compete.

Matteo Palmieri

L’uomo è superiore agli altri animali perché Dio l’ha reso capace di disprezzare le cose del mondo e di elevarsi a quelle celesti. Ragione  e parola lo pongono al disopra dei bruti, e se anche nel corpo e nella forza l’uomo è secondo agli animali, primeggia nella forza dello spirito, perché ricordano il passato e prevedono il futuro. L’anima e la sua forza propria (l’intelletto, o ragione) è l’elemento divino nell’uomo. Accanto alla parte razionale c’è anche una parte irrazionale, sensuale o sensitiva.
Nel concreto esercizio delle virtù l’uomo consegue quella dignità e superiorità cui la sua origine e la sua parte  divina lo destinano. Le virtù sono quattro: fortezza, giustizia, temperanza e pazienza, e ciascuna si esercita secondo quattro diversi gradi di perfezione.
“1” civile (vita attiva)
“2” purgatorie (vita contemplativa)  , di chi ha deciso di purgarsi da ogni contagio corporeo
“3” d’animi già purgati, come sono presenti negli uomini che hanno raggiuntola beatitudine ultraterrena
“4” esemplare o divino, come sono presenti in Dio stesso.
“I” prudenza: indirizzare le azioni ad un giusto fine, con ragione e onestà; fortezza: superare le avversità della vita con serenità; temperanza: non desiderare nulla di cui ci si penta, sottomettere gli appetiti; giustizia: mantenere armonia tra uomini.
“II” prudenza: spregio del mondo per contemplare le cose divine; temperanza: astenersi da tutto fuorché le necessità; fortezza: senza timore in ogni momento, anche la morte; giustizia: seguire sempre la strada delle virtù.
“III”prudenza: conoscere le cose divine e null’altro; temperanza: non avere mai cupidità; fortezza: non avere in sé nessuna passione; giustizia: serbare il perpetuo ordine della mente divina.
Solo se unite a quella attive le virtù purgatorie giovano all’uomo nella sua interezza; solo all’interno di una comunità l’uomo è pienamente se stesso e non chiuso in una forma di egoismo.

Poggio Bracciolini

La vera nobiltà non può essere quella di sangue, ma quella acquisita con l’esercizio e la pratica cella virtù (già Dante). C’è invece chi sostiene che nobiltà sia un qcs di materialistico, come gli onori tributati dal volgo, dalla fama…ma l’opinione del volgo è mutevole, e ciò che si eredita non è merito dell’erede, che non possiede mai veramente l’eredità. La nobiltà dell’uomo infatti non è qualcosa di estrinseco all’uomo stesso, ma ha a che fare con la sua intimità, perché altro non è se non la virtù in atto, e risiede nei beni dell’anima. Per questo non è possibile una trasmissione, ma ogni uomo deve migliorare con le proprie forze. Frutto della grandezza d’animo la nobiltà è frutto dei nostri meriti e delle azioni derivanti dalla nostra volontà. Nobile perché virtuoso è sia chi opera a favore della comunità, sia chi governa in solitudine la propria vita morale.  Il principio della virtù è utile sul piano pedagogico e educativo, perché indice ad agire onestamente, costituendo un prezioso stimolo al diffondersi degli ideali morali.

Bartolomeo Sacchi (Platina)

L’uomo è concepito come un microcosmo, creato da Dio a propria immagine, e la vita umana è un lungo itinerario che conduce l’uomo a farsi somigliantissimo a Dio. La conoscenza diventa sapienza, la cui massima espressione è la filosofia, che aiuta ad estirpare i vizi e fa spazio alla virtù: la filosofia spinge l’uomo verso una vita superiore. La volontà opera e agisce contro il male, forgiando la vita morale facendosi simile a Dio. Anche lui identifica nobiltà e virtù: nobiltà è ciò che innalza l’uomo più degli altri, ma nulla di più alatovi è se non la somiglianza con Dio.

Cristoforo Landino

Neo platonico. Bisogna studiare la natura dell’anima per metterne in luce il valore divino e conoscere il confine tra bene e male.
La parte superiore dell’anima è costituita dalla mente, che può essere
“a” forza speculativa, se indaga teoreticamente la verità
“b” forza attiva, se agisce praticamente per ottenere il bene.
La forza speculativa si articola in due facoltà:
“1” una inferiore, l’intelletto, che muovendo dai dati sensibili elabora i concetti
“2” una superiore, l’intelligenza, che per illuminazione divina investiga le cose create e conosce Dio.
Questa capacità di conoscere il divino è la prova della sua divinità, e perciò della sua immortalità (il binomio conoscenza-possesso è tipico della tradizione platonico-ermetica) Nelle infinite attività dell’uomo sono anch’essa prova di immortalità, perché l’uomo cerca di tramandare qualcosa di sé ai posteri. In base la principio della continuità dell’essere si deve supporre un termine medio tra bruti e essenze celesti: l’uomo è appunto questo nesso. A nobilitare l’uomo è quindi l’elemento divino che è in lui: crescendo nelle virtù l’uomo può addirittura accrescere la sua somiglianza con Dio, ottenebrata dal peccato. L’autentica investitura nobiliare è l’ascesa con cui l’uomo ritorna al cielo e a Dio. A differenza di Palmieri però l’ascesa dell’anima è configurata in modo tale che già in questa vita l’uomo può pervenire al terzo grado di virtù: in casi eccezionali l’uomo può anticipare la condizione della sua vita futura (estasi mistica).

Leon Battista Alberti

La superiorità dell’uomo e la sua grandezza si palesa nella sua capacità di vincere con la sua virtù le avversità che la fortuna (sorte) pone sul suo cammino. Virtù designa non solo il comportamento eticamente buono ma più in generale il libero agire dell’uomo; l’uso accorto e prudente che sa fare della facoltà di cui è stato dotato. Con l’esercizio della virtù l’uomo può sottrarsi al dominio delle forze naturali e vincere le incertezze del caso e le avversità della sorte. Questi doni ricevuti da Dio (corpo, parola, spirito…) sono al tempo stesso dei compiti in cui l’uomo deve esercitarsi a fine di conseguire quell’elevatezza per cui è stato creato. L’uomo è debitore a Dio di ciò che Lucigli ha dato perché ne faccia buon uso, onorandolo e ottenendo per sé la felicità. Solo operando nell’esercizio della virtù l’uomo è veramente se stesso e dunque anche felice: nella perfetta virtù, che è  anche perfetta operosità di tutte le proprie facoltà nel quotidiano esercizio della vita, risiede la pienezza dell’uomo e dunque la perfetta felicità.

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