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Anselmo d'Aosta. Deduzione e Dio come causa incausata


La dimostrazione dell’esistenza di Dio è ottenuta attraverso due strade: la prima legata alla priorità di un ente universale (ottimo, massimo) date le qualità cangianti (più o meno buone) di enti particolari; la seconda l’affermazione della necessità di una sostanza unica (per se) da cui gli enti particolari (per aliud) derivano. Da qui Anselmo arriva a dedurre che Dio deve necessariamente essere causa incausata, per cui crea dal nulla, perché se così non fosse, le creature deriverebbero da qualcos’altro che è per se, e ciò non è possibile. Dio allora non ha la giustizia e la grandezza, egli non può avere qualcosa di diverso dal sommamente buono se non vuole essere contraddittorio. Per questo motivo a lui non gli si addicono attributi, ma è lui che li conferisce alle cose perché è grandezza e giustizia. Non ha principio, perché e il principio; non ha fine perché altrimenti sarebbe mutabile e soggetto al perire. Data la sua natura semplice, non si può propriamente dire che esso sia sostanza. In tal modo Anselmo sancisce il ridimensionamento del processo di “apofasi” (rapporto discendente tra Dio e le creature ) del neoplatonismo pur accogliendo il concetto di trascendenza; la trascendenza è allora interpretata con la creazione dell’uomo a immagine e somiglianza, con il rapporto stretto tra finito e infinito.

Tratto da LA DOTTRINA DEI TEOLOGI di Carlo Cilia
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