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Anselmo e la spiegazione razionale della Trinità


Nei capitoli che vanno da 37 al 63 del Monologion Anselmo si propone di dare una spiegazione razionale del mistero della Trinità, attraverso una teologia rigorosamente razionale e fondata sulla dialettica, a prescindere dalla Rivelazione. Il Padre che è sommo spirito, pensiero, memoria si traduce in parola che è il Verbo incarnato, il Figlio, ossia la conoscenza; dalla conoscenza che il Padre ha di se stesso grazie al Figlio procede l’amore, che esprime lo Spirito Santo.
Dal momento che la ratio si costruisce attraverso l’analogia, essa dovrebbe determinare “se”, rendere chiaro il “che cosa” e mostrare “come” la cosa che indaga è. Ma di questi tre compiti a proposito di Dio, è in grado di adempiere senza qualche difficoltà ai primi due; il terzo risulta ad essa troppo difficile per l’ineffabilità delle cose divine. E tuttavia Dio non può non essere colto attraverso la ragione, l’unica natura ad esso più vicina. A proposito della Trinità, in particolare, egli si discosta dal ragionamento di Roscellino, il quale mette in luce come non si possa sfuggire a due alternative interpretative: o le persone della Trinità sono considerate come tre res separate e conseguentemente l’una distinta dall’altra, oppure, se si accetta che le persone rappresentino delle diverse manifestazioni dell’unico Dio, si deve necessariamente ammettere che con il Figlio si sono incarnati anche lo Spirito Santo e il Padre. Anselmo rifiuta completamente questa impostazione, perché da tempo scartata, nell’uno e nell’altro caso, da tempo dall’ortodossia della Chiesa.

Tratto da LA DOTTRINA DEI TEOLOGI di Carlo Cilia
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