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"Proslogion" e versioni dell'esistenza di Dio


La ratio rimane condizione del credo ut intelligam così che dalla fede possa scaturire l’intuizione intellettuale dell’esistenza di Dio e la comprensione della sua natura. A proposito dell’unum argumntum sono state individuate due versioni nel Proslogion: la prima parla dell’esistenza di Dio come perfezione, cioè come una proprietà dell’essere: “la perfezione dell’essere è ciò di cui non si può pensare il maggiore”; “l’esistenza è una perfezione dell’essere”; “l’esistenza è una perfezione di ciò di cui non si può pensare il maggiore”. La seconda è costituita da una struttura modale, in quanto espressione di necessità e possibilità. Attraverso un sillogismo ipotetico, proprio degli stoici, Anselmo dimostra come sia che partiamo dall’affermare la non esistenza, sia che affermiamo l’esistenza si deve concludere che Dio esiste. Inoltre è interessante il breve capitolo 15 in cui Anselmo chiarisce ulteriormente la definizione di Dio: egli è certamente ciò di cui non si può pensare qualcosa di maggiore, ma in effetti, trasformando questa frase in positiva e rendendola ancora più assoluta e definitiva dobbiamo dire che Dio è il maggiore di quanto si possa pensare. Questa frase oltre a voler significare che Dio è sommo, vuole anche sottolineare il fatto che egli vada al di là dell’idea stessa, di qualunque idea, anche quella di Dio.
Per concludere la riflessione sulla concezione anselmiana di ratio dobbiamo dire che egli supera non solo i teologici scolastici, ma anche quelli di estrazione monastica: è in grado di farlo perché conferisce piena autonomia alla ratio, per evitare la sua invadenza in campo teologico da una parte, e la tendenza a farla coincidere con il sapere profano dall’altra.

Tratto da LA DOTTRINA DEI TEOLOGI di Carlo Cilia
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