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La concezione e la pratica di fedeltà dei sudditi

La concezione e la pratica di fedeltà dei sudditi


L’aspetto più importante della questione riguarda il ripensamento dei valori, dei problemi dell’esperienza storica della fedeltà, che allora fu svolto e che produsse mutamenti significativi della coscienza civile e politica e nei sentimenti collettivi dei sudditi. Alla radice dell’intensa conflittualità che accompagnò nella prima età moderna la concezione e la pratica della fedeltà vanno ricercate: la diseguaglianza della dignità dei sudditi (nobili e popolari), l’incerto equilibrio tra lealtà verso il sovrano – che richiedeva anche il sacrificio personale, di beni e vita – e responsabilità verso gruppi e comunità, la presunta identità tra monarchia e nazione, tra il sovrano e il corpo politico della monarchia. Il principio conteneva un che di assoluto e di perenne: non solo il re, ma anche Dio e l’onore personale vi erano coinvolti; rinnegarlo equivaleva a mettersi al di fuori del consorzio civile, della solidarietà collettiva e della comunità politica per affermare la loro legittimità, i ribelli, la dove furono in grado di farlo, dovettero appropriarsene reinterpretando alla luce della tradizione storica, della situazione politica, dei valori morali e religiosi come avvenne appunto a Napoli. È uno dei temi ideologici attraverso i quali è possibile misurare il gradi di maturità delle forze politiche e culturali che si misero in moto nel corso delle esperienze rivoluzionarie della metà del XVII secolo. L’alto valore etico e politico tradizionalmente attribuito alla fedeltà era in relazione con l’appartenenza di chi la professava a quella parte della società che era capace o degna di esercitare il potere politico e quindi di rappresentare la nazione. Questa capacità o dignità era riconosciuta universalmente e a pieno titolo ai ceti privilegiati. Furono i tentativi di andare oltre e di includere in questo riconoscimento anche i settori, categorie e rappresentanti di altri ceti e gruppi sociali (ampliando e cambiando quindi la concezione della nazione politica) a creare contrasti e controversie. Nella loro grande maggioranza, i baroni napoletani coltivarono fin dall’inizio del dominio spagnolo il sentimento della fedeltà alla monarchia, accettando di seguire le norme e i comportamenti che ne derivavano. Una lunga tradizione di anarchia fu così superata e accantonata. I conflitti connessi con la questione della fedeltà si trasferirono su un altro e più avanzato terreno: l’idea della nazione politica e il problema della sua natura dei suoi limiti divennero un punto caldo nelle controversie dottrinarie e del conflitto tra le correnti politiche. Riversando su questo versante tutto quello che poteva sopravvivere del vecchio spirito, la nobiltà napoletana sostenne costantemente una visione particolarmente rigida ed esclusiva della nazione e riuscì in larga misura a farla valere ed imporla nella pratica politica e istituzionale. Il governo spagnolo non favorì su questo punto l’evoluzione delle istituzioni e della coscienza pubblica: il quasi completo monopolio nobiliare della rappresentanza nazionale e l’antagonismo o la divisone tra nobiltà e popolo erano condizioni essenziali per la stabilità del dominio e per la possibilità di servirsi a oltranza delle risorse napoletane specie in momenti decisivi per le sorti della monarchia.

Tratto da LA FEDELTÀ NEL '600 di Alessia Muliere
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