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Il valore del linguaggio nella creazione di legami affettivi

Il linguaggio è la capacità di creare legami.
Tale capacità è richiamata dalla stessa radice del termine logos.
Legein significa infatti raccogliere, abbracciare, congiungere.
La logica per Kant è data essenzialmente data da due termini: ich verbinde (=io collego). La logica ha lo scopo di trovare le modalità corrette di collegamento tra le parole e i concetti, studiando le diverse forme di collegamento possibile.
Per Aristotele solo in un collegamento corretto tra termini ed enunciati risiede la verità. Per questo si devono distinguere i logoi veri da quelli falsi. Un discorso può essere suscettibile di essere vero o falso solo se è un’asserzione (discorso apofantico). Gli ordini o le preghiere, ad esempio, non sono né veri né falsi.
Kant ritiene che il logos sia collegamento, ma tale collegamento è reso possibile da me che lo penso. Il linguaggio è quella funzione che permette di rapportarsi ad un oggetto, mantenendo una certa distanza. Il linguaggio è organo-ostacolo del mio rapportarmi all’oggetto. Esso permette di superare la distanza fra noi e l’oggetto; ma nel momento in cui entriamo in rapporto con tale oggetto per mezzo del linguaggio, la distanza di fatto viene a riproporsi.
L’ambiguità del linguaggio risiede nella sua capacità di porre una distanza unita alla volontà di superare la distanza stessa.
Coinvolgimento: è il problema precipuo del corso.
Possiamo parlare dei sentimenti, ma nel trattarli ce ne distacchiamo, non riusciamo a provarli. La filosofia mira a colmare la distanza attraverso il logos, distanza che rimane pur sempre incolmabile. Tuttavia è proprio tale distanza a rendere possibile un rapporto consapevole con l’altro. Scopo della filosofia è quindi quello di rapportarsi all’oggetto pur mantenendone le distanze.
Filosofia: predilezione per il sapere, essere coinvolti dal sapere. Anche la filosofia ha una sua paticità, un suo coinvolgimento. Essa nasce come gestione del logos. Attraverso il linguaggio costruiamo degli oggetti, li poniamo a distanza, ma una volta stabilita tale distanza, il linguaggio mira a creare un rapporto.
Mediazione: far entrare in rapporto ciò che è e resta separato, collegare due estremi che comunque rimangono tali. La mediazione è un medium, un ponte. Anche il linguaggio è un medium, un mezzo; mezzo inteso come ciò che collega, che sta in mezzo e non come strumento.
Il linguaggio è davvero qualcosa che possediamo, che dipende da noi?
In parte noi possiamo modificare il linguaggio, possiamo creare nuovi termini. Ma il linguaggio viene imparato e tramandato, fa parte di una tradizione, di una cultura. Il linguaggio è testimone dello spirito di una cultura.
Ma allora noi non possediamo la lingua: essa esiste prima di noi. Il linguaggio è condizione di possibilità del nostro esprimerci, condizione che permette di intendere e fraintendere.
Heidegger: non siamo noi che propriamente parliamo, ma è il linguaggio stesso a parlare per noi. Il linguaggio è un ambiente più che uno strumento, è un contesto, un medium. Le parole ci aprono alla dimensione della mediazione. Il rischio che si corre nel parlare di affetti è quello di rendere mediato ciò che in realtà ci coinvolge immediatamente.
Retorica: tecnica che insegna a coinvolgere con l’uso della parola.
Platone affronta questo tema in due opere:
1.Gorgia: la retorica è criticata in quanto considerata uno strumento volto a persuadere, a convincere con le parole. Ciò che conta per Socrate è la verità. Nella retorica non ha importanza il riferimento alla realtà. Il discorso socratico invece è sempre mediato dal mondo ideale che è il modello della realtà e garanzia della verità. Platone condanna la retorica vedendola come mezzo per dilettare.
2.Fedro: accanto alla condanna della retorica si affianca la descrizione di una retorica rispettosa della verità, di una buona retorica. La verità può esprimersi in modi diversi, anche retoricamente. L’amore è una potenza che avvolge. Quando Lisia afferma che si deve compiacere che non ci ama, dice che deve essere premiato chi non si fa coinvolgere, chi si distacca dall’altro. Emerge una concezione dell’amore come forza travolgente, mania, potenza irrazionale che travia. Per questo Lisia sostiene che deve essere premiato il non amante: perché è colui che resta razionale, equilibrato.

Tratto da LA FILOSOFIA MORALE: L’AFFETTIVITÀ di Valentina Ducceschi
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