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I bombardamenti sull'Italia, 1942




Nel novembre 1942 inglesi e americani decidevano una massiccia campagna di bombardamenti sull’Italia. Diplomazia e alti comandi militari discutevano sulle prospettive della guerra: la debolezza dello stato italiano sul fronte militare era chiara e chiare erano le difficoltà interne; l’obiettivo era dunque quello di spingere la nazione fuori dal conflitto, dividendo il fronte nemico. Un documento britannico esprime chiaramente che quasi nulla era la fiducia nella classe dirigente italiana troppo coinvolta con il fascismo e ormai invisa alla popolazione, sulla cui progressiva e veloce disaffezione al regime si puntava quindi tutto. E i modi per provocare questo collasso interno venivano individuati nei bombardamenti: non bombardamenti chirurgici, cioè contro impianti militari e obiettivi strategici, ma bombardamenti indiscriminati ch provocassero morti e feriti tra la popolazione civile. La popolazione diventava un chiaro ostaggio della guerra: ad essa si diceva che per salvarsi doveva cercare di dividere la sua sorte da Mussolini e dalla Germania, ribellandosi e sabotando. Dagli inglesi, il popolo italiano viene descritto come innocente, pacifico, poco propenso alla guerra e spinto a combattere dal regime fascista. Argomenti analoghi avrebbero usato gli italiani nel dopoguerra per distinguere la propria sorte da quella del fascismo. Sono stati gli alleati a fornirgli tali argomenti attraverso i volantini che avrebbero continuato a cadere fino all’8 settembre 1943. Il 4 dicembre 1942 si verificherà il primo grande bombardamento diurno su Napoli, diretto dai comandi americani del Nord Africa.  L’Italia meridionale e centrale fu analizzata meticolosamente. Le aree venivano fotografate, i bersagli identificati e trasferiti su piante. Lunghi elenchi di bersagli compaiono nella documentazione americana, catalogati secondo l’importanza strategica (first, second, third priority) e accompagnati da accurati studi. Nei rapporti degli americani i capitani dichiaravano spesso di aver colpito senza aver potuto individuare con precisione l’obiettivo a causa del maltempo e di aver sganciato le bombe senza prendere la mira accuratamente, come affermò il comandante che il 25 aprile 1943 colpì Torre del Greco, provocando la morte di un centinaio di persone, fra cui un numero impressionante di bambini. Notizia, quest’ultima, che veniamo a sapere non dai rapporti dei bombardieri ma dalla relazione dei nostri vigili del fuoco che videro il bombardamento dal basso. A cominciare dal 1942 tra inglesi e americani si intrecciava la discussione sulla capitale, cui il Vaticano chiedeva di dare, in quanto sede del papato e quindi luogo simbolico di tutta la cristianità, lo status di città aperta (una città ceduta, per accordo esplicito o tacito tra le parti belligeranti, alle forze nemiche senza combattimenti con lo scopo di evitarne la distruzione; lo statuto di città aperta viene attribuito tenendo conto del particolare interesse storico o culturale della città, oppure in virtù del consistente numero di civili presenti nella popolazione). I britannici sostenevano che la capitale era la sede reale e simbolica del regime fascista e dello stato italiano e obiettivo centrale della campagna aerea. Inoltre gli inglesi sembrano quasi accusare il papa di preoccuparsi solo dell’incolumità della capitale e del Vaticano e non delle altre città italiane, vittime di terribili bombardamenti.

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