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I bombardamenti tedeschi su Napoli - 1943 -




Ma, contrariamente alle aspettative della popolazione che festeggiava la pace, quello stesso giorno i bombardieri tornarono in provincia con raid violentissimi. Questa volta gli obiettivi strategici erano i nodi considerati cruciali per la ritirata tedesca. Le navi inglesi e americane cannoneggiavano il territorio circostante il golfo di Salerno.Dopo l’8 settembre alla violenza dei bombardamenti si sovrappone la violenza delle truppe tedesche che occupavano il territorio italiano e in Campania combattevano contro l’avanzata degli alleati. I tempi si facevano convulsi e incerti. Le istituzioni italiane erano allo sfascio. La Campania diventava terra di nessuno. La documentazione della prefettura si fa incerta e lacunosa. La memoria collettiva dei bombardamenti a Napoli si arresta. La guerra vera finisce con l’arrivo degli alleati, poi comincia un’altra guerra, quella della sopravvivenza in regime di occupazione amica, che è quella che ha alimentato le immagini della città nella comunità nazionale.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre, la città subì alcuni bombardamenti tedeschi. Il primo si ebbe il 21 ottobre 1943. Il 15 marzo 1944, quando nessuno se lo aspettava più, si verificò il raid tedesco più intenso, uno dei più gravi della guerra. Venne colpito soprattutto il centro antico della città, fra i decumani e via Duomo, poi la zona che va da via Roma a via Chiaia e il Vomero. Il 24 aprile 1944 i bombardieri tedeschi tornarono per l’ultima volta sulla città.
Gribaudi passa ad analizzare i danni collaterali e chiedendosi quante furono le vittime dei bombardamenti a Napoli. La risposta è che è pressoché impossibile indicare una cifra esatta. Stefanile nel suo “I cento bombardamenti di Napoli” propone il numero di 20mila senza fornire le fonti su cui si basa la sua ipotesi.
Nel 1943 il prefetto stimava le vittime della provincia, capoluogo compreso, in 1499 e quelle del solo capoluogo 1388. Dati ce sono addirittura inferiori agli elenchi forniti dalla stessa prefettura volta per volta. Se si fa la somma totale delle liste ufficiali contenute nei resoconti fino al 21 settembre 1943 si raggiunge la cifra di 3100 circa, cui si devono aggiungere le 470 vittime dei bombardamenti tedeschi.I registri napoletani sono costruiti per quartiere; un prima sezione contiene le morti avvenute nelle case; una seconda sezione speciale (II B) contiene invece le morti avvenute negli ospedali o le vittime finite direttamente dalla strada alla camera mortuaria dei cimiteri.Gribaudi ha provato a ricostruire le morti del 1943, l’anno più tragico, ed è arrivata alla cifra di 6097 vittime. A questo dato bisognerebbe aggiungere quelli del 1940, 1941 e 1942. Se si pensa che moltissimi corpi non ebbero sepoltura, risultarono dispersi, non furono mai denunciati o lo furono molto tempo dopo, allora la cifra raggiunta consultando i registri dei morti del comune appare anch’essa per difetto. Quindi i numeri della prefettura sono sottodimensionati.
A tutte queste vittime dovremo aggiungere quelle morte per il tifo o per altre malattie infettive, per il freddo, per gli stenti, come i bambini. Molte delle vittime morirono nei rifugi travolte dalla folla che scappava dai bombardamenti, nei crolli o per le epidemie che dilagarono proprio a causa delle terribili condizioni igieniche in cui si trovavano.La maggior parte dei ricoveri cittadini erano stati ricavati, senza grandi lavori, nelle antichissime cavità del sottosuolo napoletano: alcune erano già state rifugio dei primi cristiani, altre si erano formate nel corso dei secoli per l’uso di scavare e prelevare il tufo per costruire le case soprastanti, altre ancora erano ricavate dall’acquedotto borbonico; erano unite da lunghissime gallerie che percorrevano nel sottosuolo tutto lo spazio cittadino. Oggi si possono visitare, sono diventate meta di itinerario turistico e non manca chi in tempo di pace, senza dover correre per le bombe, viene colto da crisi di panico e di claustrofobia. Dappertutto scale lunghe e ripide, cunicoli e strozzature, dove la folla in fuga e in preda al panico si accalcava, e se qualcuno cadeva si verificava una strage.La metropolitana con le sue stazioni costituì un altro dei rifugi più usati dai napoletani. Le gallerie dove corrono i vagoni nel centro storico sono particolarmente profonde, hanno scale d’accesso lunghe e ripidissime. In realtà la vita nei rifugi era terribile: al freddo, nello sporco, in mezzo alle cimici e ai pidocchi. Oltre a coloro che morirono travolti dalla folla o sotto le macerie nei crolli delle volte, furono moltissime le vittime di malattie contratte in quelle condizioni. Non li possiamo contare. Nell’autunno del 1943 migliaia di famiglie senza tetto abitavano stabilmente nei ricoveri. Fu in quelle condizioni che si diffuse l’epidemia di tifo. Anche le vittime del tifo sono dunque da annoverare fra i danni collaterali dei bombardamenti.Pare che vivessero quasi 12mila persone sparse tra i 41 ricoveri della città. L’attenzione delle autorità per questa folla lacera e malnutrita, che viveva letteralmente negli antri della città in condizioni apocalittiche, si era destata solo per l’allarmante epidemia di tifo che si era diffusa in città e sulla spinta degli alleati che sollecitavano l’allontanamento della gente dai rifugi e la loro chiusura. Quelli rimasti senza casa sarebbero stati considerati profughi e si sarebbe cercata loro una soluzione abitativa. Tra le possibili sistemazioni il prefetto della città indicava l’ospedale Morvillo, l’istituto del Carminiello, il manicomio di Aversa, il manicomio criminale di Aversa, l’istituto San Lorenzo di Aversa, il manicomio consorziale di Nocera Inferiore, l’istituto Mater Domini di Nocera Superiore.

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