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L'identificazione dell'impero con la fede (1500)



Le affermazioni legittimistiche che fino a qui abbiamo visto non puzzano di zolfo solo a noi contemporanei. Già allora si sollevarono discussioni sul grado e la natura della violenza di cui si legittimava l'uso nell'esercizio della conversione. James Abercromby diceva a chiare lettere nel 1774 che seppure il dominio di Cristo e la fede cristiana andavano diffuse, Cristo non voleva che il suo regno fosse “anticipato dal braccio armato, dal sangue e dalla strage”. Erano osservazioni dirette soprattutto agli spagnoli e agli argomenti del giurista Juan de Solòrzano y Pereira, ma non negava che anche gli inglesi recavano macchie di sangue.  Non solo. L'identificazione dell'Impero con la diffusione della fede cristiana richiedeva altresì, specie dall'inizio del Cinquecento in poi, un riesame dell'ambizione imperiale  alla sovranità sul mondo intero e del suo significato.  Se per i romani il referente letterale di mundus era tutto il globo, il referente di fatto era molto più ristretto. Gli autori moderni invece furono più fedeli al dato letterale e si rendevano ben conto che ormai il mundus non era solo quello dove la civitas romana aveva regnato, perchè ora gli imperi anche Cina e Impero Ottomano erano indipendenti e potenti e certo non facevano parte dell'Impero. Inoltre dopo il 1492 la scoperta di un continente nuovo escludeva a priori l'immagine che prima vi fosse stato un monarca propriamente universale. Charles Davenant, alla fine del Seicento, diveva che se mai vi fosse stato ora un moderno impero mondiale, era più quello che restava fuori dal dominio di Roma. Insomma, per i moderni era abbastanza irragionevole oramai pretendere di essere i dominatori del mondo intero eppure sforzi compiuti per combattere la nuova geografia ve ne furono, e seppure implausibili e ridicoli (come quello della diaspora dei visigoti di Gonzalo Fernàndez de Oviedo) mostrano la preoccupazione di collegare i limiti geografici del vecchio impero a quelli dei nuovi.
Una strategia per salvaguardare l'immagine antica dell'impero poteva trovarsi nel riprendere la dimostrazione agostiniana che tutto il mondo non era altro che una sineddoche e che il suo senso poteva perciò essere esteso fino a coprire tutte le terre di recente scoperta, e ogni terra che sarebbe stata scoperta in futuro. O si poteva dimostrare come Bellarmino che tutto ciò che non faceva parte dei tre vecchi continenti non facesse parte del mondo, ma ciò privava anche delle legittime ragioni per cui l'America era stata occupata. Se nulla di più efficace, insomma, si riusciva a trovare per contrastare la semplice esistenza della geografia, si potrebbe dedurre che la pretesa dell'impero ad una sovranità mondiale era perduta. Eppure l'occupazione spagnola de facto di quella che, allora, appariva come la parte più cospicua delle Americhe, accrebbe quell'impero fino a sembrare che esso includesse il mondo intero.  Nulla di questo naturalmente ebbe molta risonanza fuori dai territori degli Asburgo in Europa e America. Invece al loro interno diventarono un elemento costitutivo della culture politiche della Spagna e di buona parte dell'Italia. La mente del simbolismo imperiale di Carlo V fu il piemontese Mercurino da Gattinara che caratterizzò Carlo come erede di Giustiniano, asserendo che Carlo era stato mandato sulla terra da Dio per compiere l'opera iniziata da Carlo Magno. Per successione dinastica i regni di Spagna erano connessi al Regno di Napoli, a cui Carlo aveva aggiunto Milano, facendo entrare la Spagna in un più ampio disegno italiano di creazione di un imperium europeo che sarebbe servito da difesa contro i turchi all'esterno e dalla minaccia di conflitti religiosi dovuti alla presenza del calvinismo interno. Carlo V come Carlo Magno dunque, portava benefici, protezione e sicurezza non più alla civitas ma alla cristianità minacciata da infedeli ed eretici. Alvaro Gutierrez de Torres nel 1523 diceva che i principi elettori sono entrati in conclave e per ispirazione dello spirito santo hanno scelto Carlo V come re dei romani, dicendo che ciò equivaleva di fatto ad una elezione da parte del mondo intero.
La Spagna per molti sembra diventare il regno predetto da Daniele e il punto focale dell'impero, il flagello dell'Islam scelto da Dio; Carlo era l'araldo della pietas, che era stata la fonte della grandezza di Roma. E il legame fortissimo in Spagna col cattolicesimo creava un legame saldo tra impero e papato.

Tratto da LA NASCITA E L'EVOLUZIONE DELL'IMPERIALISMO di Gherardo Fabretti
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