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Erasmo da Rotterdam: Il lamento della pace


La disamina delle ragioni della guerra e di quelle della pace si propone come tentativo non solo come tentativo di porre termine alla situazione di conflitto che regnava nel mondo e tra principi e popoli cristiani che avrebbero dovuto invece proporsi come artefice e realizzatori del sogno di un Europa senza frontiere e senza violenza.
PARLA LA PACE. Se gli uomini mi oltraggiassero dovrei deplorare solo l’ingiustizia fattami ma poiché oltre a questo cacciano lontano da se la fonte di tutte le umane felicità e si attirano sciagure di ogni sorta, mi tocca compiangerli per la loro sventura e l’oltraggio recatomi. Li commisero perché non hanno pietà di se stessi e non si rendono conto dell’infelicità che li affligge. Io sono la pace vantata dagli uomini e dagli dei, genitrice, protettrice, conservatrice d’ogni cosa, nulla senza me fiorisce, nulla è sicuro. La guerra è un oceano in cui si uniscono i mali del mondo, fa imputridire ciò che fiorisce, rovina ogni cosa e annienta ogni fondamento. Se fossero le fiere a disprezzarmi in quel modo lo potrei sopportare con più rassegnazione. È vergognoso che pur avendo la natura generato un solo animale capace di intelletto divino e dotato di ragione, mi sia più facile trovare asilo tra le belve che tra gli uomini. Gli esseri irragionevoli serbano entro la propria specie l’ordine e la concordia (gli elefanti vivono in branchi e le pecore in greggi…); segni di simpatia ci sono tra le piante e le erbe (alcune, se non le unisci al maschio, sono sterili); anche i minerali conoscono la concordia (la calamita attira a se il ferro). Anche tra le belve c’è concordia perché la ferocia dei leoni non li spinge a lottare tra loro e il cinghiale non azzanna un suo simile. Anche gli spiriti maligni sottostanno a certi loro patti. Solo gli uomini non accettano di essere conciliati dalla natura. L’educazione non li unisce, i tanti benefici che nascerebbero dalla concordia non li inducono a stringersi insieme.
Quando sento il nome di un uomo subito accorro con la fiducia di trovare in lui la mia quiete, quando sento la qualifica di cristiano a maggior ragione. Ma anche qui, mercati e tribunali, palazzi e chiese sono in clamore di litigi. Mi volgo a una città e e spero che l’accordo regni almeno tra coloro che sono cinti dalle stesse mura, governati dalle stesse leggi e accomunati dagli stessi pericoli… ma scopro che ogni cosa è avvelenata dalle discordie. Lascio la plebe, squassata dalle sue tempeste e mi rifugio nei palazzi dei principi. Mi convinco che qui ci sia posto per la pace. Vedo saluti cortesi, abbracci amichevoli e brindisi lieti ma in realtà tutto è menzogna e falsità e non c’è cosa che non sia corrotta dai dissensi e dalle rivalità sotterranee.
Dove me ne andrò? Mi rifugerò tra i sapienti dove potrò trovare un po’ di quiete. Invece No. Anche qui c’è un altro genere di guerre, meno cruento ma ugualmente dissennato: una scuola dissente dall’altra, il teologo dissente dal giurista, e anche all’interno della stessa disciplina. Si battono con estremo accanimento sino a passare agli insulti.
Mi resta la religione. I sacerdoti mi lasciano sperare di trovare un rifugio. Vedo le croci, simbolo di pace, ascolto quel dolcissimo appellativo “fratello”, sento nei saluti colmi di letizia augurare la pace. Invece è una vergogna. Non c’è luogo in cui il Capitolo sia d’accordo col vescovo. Dove esiste un prete che non sia in lite con un altro prete?
Ormai pensavo di nascondermi in qualche monastero che fosse tranquillo. Ma non ne ho ancora trovato uno che non sia in difetto di rivalità intestine.
Si azzuffano nazioni contro nazioni, città contro città, partiti contro partiti.

Tratto da LA NUOVA SPIRITUALITÀ DELL'ETÀ MODERNA di Filippo Amelotti
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