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La nuova prospettiva della psicologia della comunità


La psicologia di comunità sull’interfaccia tra l’individuale e il sociale 
Definiamo la psicologia di comunità come un’area di ricerca e di intervento sui problemi umani e sociali che si rivolge eminentemente alla loro interfaccia tra la sfera individuale e quella collettiva, tra la sfera psicologica e quella sociale. 
Versante individuale è sostanzialmente l’individuo che li subisce sulla propria pelle (e nella propria mente) e che in qualche modo vi deve far fronte CONNOTAZIONE OGGETTIVA (Psicologia di Comunità) e CONNOTAZIONE SOGGETTIVA in un duplice senso: essi sono sentiti e valutati attraverso il filtro dell’attività percettivo-cognitiva che attribuisce loro significati più o meno particolari e provocano (o possono provocare) disagio, disturbo, sofferenza è sulla dimensione soggettiva che la psicologia si è eminentemente fermata. 
Problemi umani 
Versante sociale, qui ancora in due sensi: nel senso che in genere nascono da situazioni sociali siano esse riferite al microsociale relazionale o al macrosociale che coinvolge relazioni con il lavoro, le istituzioni, i valori e quanto concerne la società organizzata spesso è nel sociale che trovano gli strumenti materiali e/o psicologici per essere affrontati larga parte della psicologia clinica odierna si sviluppa all’interno di contesti sociali, quali possono essere i servizi socio-sanitari, le istituzioni ospedaliere, le comunità terapeutiche e così via, ed anche attraverso varie forme di quel “privato sociale” che in talune sue espressioni come il volontariato ed i gruppi di auto-aiuto mostra in concreto il senso psicologico della partecipazione solidaristica. 

I problemi umani possono in generale evidenziare una dimensione sociale anche nel senso di presentarsi come problemi collettivi, condivisi da gruppi, categorie, ceti, ecc.in questo senso essi sono riguardati in genere dalla comunità soprattutto a livello strutturale, nell’ambito delle forme politico-giuridico-economiche attraverso cui si esprime la sua gestione. Anche in questa dimensione, tuttavia, essi presentano aspetti individuali e soggettivi che sarebbe miope non vedere, ed anche a livello di tale dimensione la psicologia di comunità può portare il suo contributo di analisi e di intervento. Quando si denuncia l’assenteismo nell’impegno sociale, la sfiducia nelle istituzioni, la valutazione pessima della “politica”, troppo spesso ci si dimentica di rivolgere l’attenzione a quelle relazioni tra la sfera privata e la sfera pubblica che sono impregnate di elementi psicologici. 
L’articolazione psicosociale e il soggetto attivo 
Rivendicazione di individualità intesa in senso essenzialmente sociale miglioramento individuale ed emancipazione collettiva hanno camminato insieme ≠ espressione di un individuo che, nella misura in cui ricerca indipendenza, dignità, identità diviene uno “essenzialmente non sociale”. 
Lewin ci ha insegnato che i fattori oggettivi (connessi con l’ambiente sociale e fisico) ed i fattori soggettivi (connessi con le percezioni, le cognizioni, i desideri, le motivazioni, i sentimenti delle persone) sono ugualmente importanti nella determinazione delle situazioni della vita individuale e collettiva. Ma ha anche mostrato come questi due aspetti dei campi sociali non siano appiccicati tra loro da qualche magico potere esterno e cieco, bensì dall’agire concreto dei soggetti umani (individui o gruppi). L’articolazione della sfera psicologica con quella sociale trova dunque il suo elemento dinamico nella nozione di SOGGETTO ATTIVO un essere, cioè, capace di costruire/ricostruire il mondo in cui vive non solo nell’ambito della sua mente ma anche concretamente attraverso la sua attività pratica. Un soggetto che pur essendo in parte plasmato dalle condizioni materiali e sociali nelle quali si trova a nascere ed a condurre la sua esistenza, non è solo da queste determinato in quanto ha la possibilità di intervenire su di esse: di cambiare e di trasformare grazie alla sua azione. Lewin è stato uno dei pochi psicologi ad occuparsi, sia pure in modo non esaustivo, dell'azione: la psicologia l’ha in genere ignorata. Eppure l’azione non è un attributo accessorio dell’essere umano ma una caratteristica fondante specie-specifica. Dotato di un corredo istintuale meno rigido e più povero di quello degli animali, disponendo soltanto di un limitato corredo di reazioni essenziali di base, l’uomo è costretto a fondare il suo rapporto di sopravvivenza nel mondo su scelte e decisioni che strutturano la sua azione. Occorre peraltro riconoscere che l’azione è portatrice anche di una realistica dimensione di limitatezza che vale a concretizzare l’idea di un soggetto attivo di contro a quelle concezioni idealistiche e poi spiritualistiche che hanno contribuito ad allontanarne la psicologia fino a pochi anni or sono: infatti l’azione, considerata come processo psicosociale, appare promossa e controllata non solo dal mondo soggettivo delle intenzioni ma anche da quei fattori oggettivi costituiti dalle risorse disponibili. Così un’azione può avere conseguenze impreviste, addirittura “perverse”. Inoltre, le scelte che vi presiedono possono essere errate, imprecise, gravide anche di conclusioni tragiche. 
L’azione apre al soggetto (individuale o collettivo) la possibilità del cambiamento ma lo espone ai rischi di un mondo percorso da asimmetrie di potere. Lo immette, anche, in quell’ottica della responsabilità sulla quale è fondata la nostra società. 

Tratto da LA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ di Ivan Ferrero
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